Controversie di politica ecclesiastica a Milano. 275 boli di preminenza del potere civile sull’ecclesiastico. La cosa fu composta coll’ordine dato da Filippo II al suo governatore di astenersi dalle solennità religiose in questione.1 Ma subito dopo scoppiò una lunga controversia col senato di Milano, che aveva i più ampli diritti per il governo del ducato e li tutelava gelosamente. Molto rapidamente il Borromeo aveva compreso che non avrebbe mai posto fine a certi disordini meramente predicando ed esortando. Si rivolse quindi ai tribunali civili, che fino allora non avevano punito affatto o solo negligentemente simili cose ed ottenne che si procedesse colla prigionia ed ancor più gravi pene. Pio V con un breve speciale2 tolse di mezzo lo scrupolo natogli che tale influenza sui giudizi di tribunali civili potesse in date circostanze fargli incorrere l’irregolarità ecclesiastica. L’arcivescovo inoltre procedeva di proprio moto contro inveterati abusi. Per antichissimo costume potevano punirsi anche dal tribunale vescovile parecchi delitti, ad es. contro la santità del sacramento del matrimonio, la bestemmia, le infrazioni del precetto del digiuno e del riposo festivo, l’usura proibita dalla Chiesa ecc. ;3 ora per la citazione dei rei e per l’esecuzione delle sentenze il Borromeo si creò un organo costituendo, secondo l’antico costume degli arcivescovi di Milano, un piccolo numero di birri armati. Ma contro questo provvedimento sollevò vivace protesta il senato di Milano. Contro laici, così sosteneva esso, il cardinale non può adoperare i suoi armati, ciò essendo una violazione delle prerogative del re; inoltre i birri avrebbero dovuto attenersi alla prescrizione, che interdiceva l’uso di certe armi. In breve si aggiunsero altre discrepanze d’idee. Allorché Borromeo volle dare alle stampe il suo primo concilio provinciale, il senato credette ancora una volta di dovere difendere i diritti del re pretendendo il diritto di potere cambiare le deliberazioni conciliari sui laici. E solo se il senato avesse dato il suo assenso sarebbesi potuto far uso a Milano di decreti pontifici.4 1 Corresp. dipi. I, 208, 262, 267, 289 (lettere dall'aprile al giugno 1566) ; HI, x. Borromeo si espresse favorevolmente sulI’Albuquerque (Sylvain I, 384). 2 Del 22 maggio 1566, presso Sala I, 178. Secondo Serbano, Oorresp. dipi. III. x. Pio V avrebbe dato facoltà al cardinale « para proceder contra los delinquente« é imponerles por sì ó con ayudo del brazo secular ó ile sus tribunales, toda clase de penas, incluso la capital » (le parole in corsivo sono messe in rilievo da me). Ma nel breve non si iparla del tribunale vescovile ed esso non dà alcuna autorizzazione a sentenza di morte. 3 Cfr. renumerazione nella lettera di Borromeo del 19 ottobre 1569, presso Sala III, 416. 4 IUscapé 1. 2, c. 1, p. 24 ss. Sylvain I, 376 ss. Serbano in Corresp. dipi. Ili, xi. Anche a Genova erano da attendersi difficoltà per la stampa del sinodo provincaile (Sala II, 261, n. 135; 262, n. 137) ed altrettanto a Venezia (ibid. 274, “• 14ss.): perciò Pio V indirizzò brevi a Genova (ibid.) e a Milano (Corresp. Mpl. I, 414), Cfr. ibid. I, 187 il decreto del doge Priuli di protezione pel sinodo, in data 3 ottobre 1567.