302 Pio Y. 1566-1572. Capitolo 4 b. Anche adesso Filippo II non diede che risposte evasive e tali da tenere a bada. Ripetevasi ognora che Sua Maestà doveva prima ricevere precise relazioni dal viceré e poi, qualora realmente si trattasse d’abusi, s’avrebbe il rimedio. Ora le relazioni del viceré negavano tali abusi. Se talvolta il re manifestava inclinazioni ad accedere al richiamo del papa, era precisamente il viceré quegli che sempre ne lo tornava a dissuadere. Il duca d’Alcalà sapeva in particolare magistralmente far giuoco dell’exequatur facendo credere al suo signore ch’esso era il fondamento della sua regia giurisdizione, il privilegio più importante che possedesse nel regno e al quale egli non poteva rinunziare a patto alcuno.1 Filippo II credeva al rappresentatogli pericolo di inalienabili diritti delia corona tanto più perchè in Ispagna non mancavano canonisti servizievoli che gli spiegavano come in quelle questioni controverse si trattasse di cose assolutamente lecite. A Roma la situazione era conosciuta con piena chiarezza. Nel febbraio 1569 il nunzio Odescalchi venne richiamato, ma anche questa condiscendenza di Pio V non recò miglioramento delle cose. Il successore di Odescalchi, Cesare Brumano, ebbe da combattere colle medesime difficoltà.2 Ai 28 di maggio del 1569 dietro speciale incarico di Pio V il Bonelli scrisse a Castagna, che gli abusi di giorno in giorno crescenti a Napoli procedevano più dagli impiegati locali che dalla volontà del re; che le usurpazioni delle autorità a Napoli nel campo della giurisdizione spirituale erano talmente aumentate che il papa un bel dì sarebbe obbligato a prendere le più forti misure; là infatti erasi messa la mano sui vescovi e se n’erano sequestrati i beni solo perchè avevano seguito le prescrizioni del papa e pubblicato senza Yexequatur la bolla In coena Domini. Anzi alcuni ufficiali erano andati sì avanti da distruggere gli esemplari della bolla affissi alle chiese. Si esorta poi il nunzio a fare energiche rimostranze a Filippo II poiché da ultimo il papa colpirà coll’interdetto il regno di Napoli.3 Allo scopo di non lasciare intentata cosa alcuna, Castagna addì 20 giugno mandò un altro memoriale a Filippo II sul modo con cui erano trattate le faccende ecclesiastiche nel regno di Napoli,4 mettendovi in rilievo specialmente tre punti, circa i quali doveva reclamare immediato rimedio. Il primo riguardava l’indegno trattamento dei prelati e persino dei vescovi, che il viceré riceveva stando in letto o a capo coperto, posponeva a tutti gli 1 Cfr. Giahnone IV, 166. 2 Vedi Capece Galeota, Nunzii apost. di Napoli 36. Cfr. Giannone IV, 172 s. 3 Corresp. dipi. Ili, 85 s. 4 Xel * Fantio Borghese I. 607, p. 71-751), Archivio segreto pontificio-