560 Pio Y. 1566-1572. Capitolo 9 c. Sebbene l’esaurimento dei rematori e lo scoppio d’un violento temporale impedissero che si compisse lunga caccia dei nemici, la vittoria dei cristiani fu tuttavia completa. Rottami di navi e cadaveri coprivano in larga estensione il mare. Circa 8000 Turchi erano morti e 10,000 caduti prigioni; 117 delle loro galere caddero in mano dei cristiani e 50 erano affondate o incendiate. I vincitori perdettero 12 galere ed ebbero 7500 morti con altrettanti feriti. Numerosi trofei, come bandiere purpuree con iscrizioni d’oro e d’argento, con stelle e luna, e una grande parte dell’artiglieria nemica erano venuti in mano dei cristiani : 42 prigionieri appartenevano alle più ragguardevoli famiglie turche : fra essi erano il governatore di Negroponte e due figli del grande ammiraglio Alì. Il bottino più bello consistette in 12,000 schiavi cristiani applicati alle galere, fra cui 2000 spagnuoìi, che dovettero alla vittoria la loro liberazione.1 Molto sangue di nobili andò versato. Mentre gli spagnuoìi ebbero a deplorare la perdita di Juan de Córdova, Alfonso de Cárdena e Juan Ponce de León, i veneziani perdettero 20 nobili delle prime case della repubblica. Fabiano Graziani, fratello dello storico di questa guerra, era caduto a lato del Colonna su una galera pontificia. Fra i feriti trovaronsi Venier e un genio allora tuttavia ignoto al mondo, il poeta Cervantes.2 Come la spagnuola e la veneziana, così s’era coperta di gloria anche la nobiltà di Napoli, Calabria, Sicilia e specialmente dello Stato pontificio. Con Alessandro Farnese, principe di Parma, e Francesco Maria della Rovere, principe d’Urbino, si videro fra i combattenti Sforza conte di Santa Fiora, Ascanio della Corgna, Paolo Giordano Orsini di Bracciano, Virginio Orsini di Vicovaro, Orazio Orsini di Bomarzo, Pompeo Colonna, Gabrio Serbelloni, Troilo Savelli, Onorato Caetani, Lelio de’ Massimi, Michele Bo-nelli, i Frangipani, Santa Croce, Capizuchi, Ruspoli, Gabrielli, Malvezzi, Oddi, Berardi.3 Con giustificato orgoglio la storiografia roggio (Gmnadrea Doria alla battaglia di Lepanto, Genova 1886), come la ■difesa (vedi Manfroni in Rassegna naz. CXX [1901], 1° luglio) tentata da Ga-votti (Le battaglie navali della republ. di Genova, Roma 1900). Se Doria non compì un diretto tradimento, la sua condotta però fu di danno all’armata cristiana. 1 Allorché degli avidi di guadagno vollero trattare come schiavi questi prigionieri cristiani, Pio V [proibì la cosa sotto pena di scomunica ; vedi Ber-tolotti, La schiavitù in Roma 42 s. ; cfr. Margraf 209. 2 Vedi Havemann 139: Guglielmotti 253, 255; Manfroni, Marma, 498 s. 1 nomi degli eminenti prigionieri presso Theinf.r, Animi, eccl. I, 462. Cfr. Rosi in Arch. d. Soc. fiotti. XXI, 141 s. 3 Le notizie di Guglielmotti (loc. cit.) sono state variamente completate dalle recenti ricerche particolari: vedi Montechiaro, La Sicilia nella battaglia di Lepanto, Pisa 1886; Mulas, I Sardi a Lepanto, Cagliari 1887; Fossati, La Riviera e la battaglia di Lepanto. Salò 1890; Conforti, I Napolitani a Lepanto,