La riforma degli Ordini è fatta secondo lo spirito del concilio di Trento. 181 Anche negli editti sopra gli Ordini il papa s’attiene strettamente alle prescrizioni, sulle quali il concilio di Trento costrusse la sua legislazione per la vita claustrale.1 Come il concilio,2 così egli pure parte dal pensiero che la salvezza come la garanzia di nuova fioritura per le congregazioni religiose non sta in nuove invenzioni, ma nel ritorno sulle vie segnate prima dai fondatori degli Ordini : perciò tutte le sue prescrizioni si adattano pienamente alla peculiare caratteristica delle relative congregazioni. Del tutto secondo lo spirito del concilio3 è anche il rilievo che Pio V fa sì forte del voto di povertà come fondamento degli Ordini. Con parole vigorose egli biasima l’abuso, variamente insinuatosi, che permetteva ai singoli monaci e religiose una specie di proprietà privata e distruggeva così la vita comune e strozzava negli abitanti d’una medesima casa il senso della omogeneità: tale abuso, così egli, è nei conventi, ovunque s’è annidato, la radice di tutti i mali, nè la migliore regola monastica è in grado di impedire la rovina.4 Con grande cura avevano i decreti tridentini cercato di impedire che la direzione dei conventi cadesse in mani improprie : un buon terzo delle sue prescrizioni riformative dedicato all’ordinamento precisamente di questo punto.5 Anche a questo riguardo Pio V si sentiva affatto d’accordo colle vedute del concilio. Chi non sa, scrive egli ai Certosini, che la negligenza dei superiori è la rovina dei sudditi ?6 Ora perchè non s’infiltrassero nei posti di superiori dei non chiamati, Pio minacciò sensibili pene a tutti gli intrighi di tal specie.7 Inoltre limitò a pochi anni la durata in ufficio della maggior parte dei superiori,8 obbligandoli poi a partecipare alla vita comune dei loro sudditi, così che quanto ad abitazione, tavola e vestito nulla avessero più degli altri.9 Con ciò egli raggiunse due cose: se i superiori dei conventi non figuravano più come alti signori, tali posti non avevano più tanta attrattiva per gli ambiziosi ed era fatto risaltare con forza, che il governo doveva condursi nello spirito dell’umiltà e della carità. 1 Sess. 25, de regularibus et monialibus. 2 Ibid. c. 1. 3 Sess 25, de reg. et mon. c. 2-3. * « Omnium malorum radix, ubicumque gtliseit, omne bonum in regulft quamvls bene instituta perverit» (ai Cisterciensi § 19, Bull. Rom. VII, 816): « cum omnis religio privatae proprietatis usu labefactetur et corruat » (ai Serviti § 1, ibid. 821). Cfr. ibid. 693, § 16 (ai Conventuali), 671, § 19 (ai Cavalieri della Croce) ecc. 5 Loc. cit. c. 6 ss. 8 *« Quis enim nescit, negligentiam praepositorum esse subditorum ruinam?», * breve del 19 marzo 1571, Brevia, Arni. U, t. 16, p. 40, Archivilo segreto pontificio. 7 Bull. Rom. VII, 677, § 8 e 693, § 24 (per Conventuali), 823, § 5 (per Serviti), 670, § 18, (per Cavalieri della Croce). » Ibid. 692, § 10, 824, § 17, 669, § 15. 9 Ibid. 677, § 4, 693, § 17, 824, § 22.