L’Ordine francescano. 189 sentís, Cristiano von Kastelberg, sia come presidente del suo venerando monastero, che come capo spirituale della lega grigia lavorava «in tutto secondo lo spirito del Borromeo».1 Mentre presso i Benedettini le congregazioni sorsero mediante unione di diverse abbazie indipendenti, in altri Ordini la formazione di congregazioni s’avverò perchè nell’aspirazione a vita più rigorosa gli abitanti di diversi monasteri si riunirono entro lo stesso Ordine, comunemente anche sotto un loro proprio provinciale. Dalla metà del secolo XVI in tutta una serie di congregazioni religiose si verificò la separazione di una tendenza più rigida, che poi diventò la rappresentante del movimento riformativo per il rispettivo Ordine. Specialmente la regola di San Francesco d’Assisi, la quale oltre allo strettamente comandato contiene anche solo dei consigli e rappresenta un ideale, a cui è possibile avvicinarsi più o meno, invitava formalmente alla costituzione di simili unioni parziali. Se n’aveva già uno spunto nelle case dei così detti Recolletti, nelle quali potevano ritirarsi i frati che miravano a maggior rigore di vita. Pio V promosse questa istituzione stabilendo che in ogni provincia dei Francescani Osservanti dovessero trovarsi due di simili case.2 Una Congregazione francescana di estrema rigidità cominciò a guadagnare ulteriore estensione proprio sotto Pio V. Il suo fondatore fu Pietro d’Alcántara, che imitò la penitenza e povertà di S. Francesco in maniera tale ch’egli stesso non la consigliava ad altri e appare quasi inconcepibile.3 Secondo la relazione di S. Teresa, 4 che lo conobbe personalmente, egli per 40 anni non dormì più di un’ora e mezza al giorno e stando in piedi, il capo appoggiato a un legno assicurato alla parete: egli non avrebbe potuto adagiarsi, chè la cella sua misurava soli 4 piedi e mezzo di lunghezza. Spesso non mangiava che ogni tre giorni e, « meravigliandomene io», racconta Teresa, egli disse ch’era molto facile una volta che ci si fosse abituati; il suo corpo quindi era anche ema- iu Hist. Jahrbuch XXIV (1903), 258 ss. Già sotto Giulio III fu tentata a Farfa (cosa sfuggita a Schmidlin) una riforma dal gesuita Bobadilla. Sullo stato del monastero cfr. Polanco, Vita Ignatii IV, 133: Fere vigiliti monachi germani ibi versabantur, qui et vivebant, et ut ipse [Bobadilla] scrii)it, bibebant gcfrma-« ice; et eos ad arctiorem vitae rationem traducere nihil aliud esse, quam vel scpelire eos, vel dimittere. Jl card. Alessandro Farnese ai 19 luglio 1566 tornò a chiedere due gesuiti tedschi per la riforma di Farfa (S. Fbanc. Borgia IV, 2S5 s.), e li ebbe (Borgia a Farnese, 27 luglio 1566, ibid. 291). 1 Wymann 241. Mayer loc. cit. 166. 2 9 Marzo 1569, Bull, Rom. VII, 742. 3 Acta Sanct. Oct. Vili, 623 ss. 4 Autobiografia c. 27 e 30 (Oeuvres, éd. M. Boxirx I2, Paris 1859, 330 s. ; 364; versione tedesca, Aachen 1868, 358 s., 394). Cfr. René de Nantes in titudes fianciscaincs X (1903), 162 ss.