296 Pio V. 1566-1572. Capitolo 4 b. già nelle precedenti redazioni della bolla, di introdurre nuove tasse e gabelle, donde avrebbe potuto provocarsi il turbamento della pubblica quiete perchè parecchie città si rifiuterebbero di pagare simili imposte. Quanto alle questioni giurisdizionali il re appellavasi ad antichi privilegi apostolici e consuetudini immemorabili, per la Sicilia alla Monarchia Sicula. Relativamente a quest’ultima egli ripeteva la lagnanza che allorquando, nel febbraio 1568, il papa nominò, in luogo del nunzio napoletano Pallavicini inviso al viceré, Paolo Odescalchi, lo avesse destinato per le due Sicilie. Altre lagnanze riguardavano la condotta dell’Ode-scalchi in faccende di beni ecclesiastici a Napoli, i privilegi del-l’Ordine di S. Lazzaro e la controversia milanese. Le dichiarazioni di Filippo II non lasciavano dubbio alcuno che egli, del pari che gli altri governi cattolici, specialmente Venezia,1 intendeva tener fermo a tutte le sue pretese di politica ecclesiastica senza curarsi della bolla In coena Domini. Ciò che il re spagnuolo diceva consuetudini, erano, come osservò con incisiva acutezza il cardinale Bonelli, abusi, pei quali vescovi e persone ecclesiastiche erano trattate nell’impero spagnuolo peggio che in Germania.2 Relativamente all’Ordine di S. Lazzaro il Bonelli fin dal 17 agosto 1568 aveva fatto notare che i suoi privilegi non erano stati accresciuti da Pio V, come pensava il re, ma diminuiti e riformati e che a lato dei quattro ordini cavallereschi regi in Ispagna anche uno papale aveva ragione di essere: quanto alla decisione, sempre rimandata, nella faccenda di Milano, egli poi aveva minacciato un’azione indipendente dal papa.3 In una lettera del Io settembre 1568 Bonelli tornò a far rilevare ch’era affatto lungi dalle intenzioni del papa di volere colla bolla intaccare l’autorità e giurisdizione del re, non mirando egli che all’eliminazione di abusi. E accennando all’usurpazione della giurisdizione ecclesiastica da parte dei ministri regi a Napoli e alle controversie milanesi egli osservò che la pazienza del papa s’avvicinava alla fine; il nunzio preghi in nome di Sua Santità il re di finalmente procurare il rimedio desiderato, altrimenti si sarebbe dovuto far uso di quei mezzi, che la Chiesa suole adoperare contro figli recalcitranti.4 Da una relazione di quel nunzio in data del 21 agosto 1568, secondo la quale il viceré pretendeva che si domandasse il permesso governativo persino per la stampa di brevi papali riguardanti atti meramente ecclesiastici, come ad esempio processioni, appare quanto ampie fossero specialmente a Napoli le usurpazioni. 1 Sull'opposizione di Venezia e le trattative con Pio V vedi Cecchetti I-448 s. Cfr. anche Mtjtinekli I, 81 s. e Retjsch I, 79. 2 Lettera del 20 dicembre 1568, Corresp. dipi. II, 523. 3 V. Corresp. dipi. II, 445. • •* Corresp. dipi. II, 451 s. s V. ibid. 452, n. 1.