Gli abusi a Napoli. 303 ufficiali civili e faceva attendere nell’ ultima anticamera fra ia gente comune. Il secondo punto trattava degli impedimenti che si facevano alla giurisdizione episcopale. Se un vescovo vuol condannare a pena pecuniaria un laico per usura, concubinato o cimile, ciò gli viene proibito; perciò non rimane che rifiutare la sepoltura e l’infliggere la scomunica; ma questa ultima, secondo le prescrizioni del concilio di Trento, non va pronunziata che nei casi estremi. Del resto anche l’applicazione di questo mezzo di castigo è resa impossibile ai vescovi perchè qualsiasi laico scomunicato può rivolgersi al potere civile, che senza indagine minuta ordina al semplice reclamo la cassazione della pena e si attribuisce la decisione della causa. Vescovi che non vi si adattarono, vi furono costretti colla sospensione delle temporalità od altre violenze. Il terzo punto contemplava Y exequátur. Questo per il passato era stato esercitato in modo che gli editti pontifici venivano presentati ad un apposito ufficiale, il cappellano maggiore, che poi, appena veduto che il relativo documento nulla conteneva contro il patronato regio, dava il suo visto. Ora le prescrizioni papali dovevano passare per le mani di tutta una serie di ufficiali, per cui non solo crescevano eccessivamente le spese, ma spesso ne veniva frustrata l’attuazione rimanendo al reo tempo Sufficiente per fuggire. Prima 1’exequátur era usato solo per disposizioni che potessero pregiudicare il patronato regio o altri diritti del governo : ora lo si estende anche alle più piccole e insignificanti ordinazioni del papa e persino a quelle di mera natura spirituale, come indulgenze. Neanche col nunzio ci si contenta più della presentazione delle sue credenziali, ma gli si proibisce l’esercizio del suo ufficio prima che abbia ottenuto il relativo exequátur. Allorquando ai primi di luglio del 1569 Filippo II ritornò a Madrid, Castagna andò a udienza. Questa volta egli portò sul tappeto soltanto le faccende napolitane, cioè i tre ricordati richiami aggiungedovene uno nuovo sulla carcerazione ordinata dal viceré d’un vicario generale vescovile, che aveva pubblicato la bolla In coena Domini. Con tutta franchezza Castagna dichiarò che se le cose andavano sì avanti Sua Santità si sarebbe vista costretta a lanciare l’interdetto su tutto il regno di Napoli, cosa che sarebbe già avvenuta se il papa non fosse persuaso che le violenze non procedevano da sua Maestà ma dai suoi rappresentanti. A ciò Filippo II uscì in deplorazioni, che per queste controversie sulla giurisdizione ed altre pretese il diavolo seminasse discordia fra lui e Sua Santità. E intanto non diede ancora, conforme al suo costume, determinata risposta,1 che solamente ai 17 di luglio 1 V. la relazione di Castagna del 13 luglio 1569, Covrcsp. dipi. Ili, 110 s.