250 Pio V. 1566-157 2. Capitolo 3 a. tova che egli non aveva potuto sbrigare le sue incombenze perchè avevano continuamente luogo sedute sull’affare dell’arcivescovo.1 L’agente imperiale Cusano giudicò anzi che il fastidioso processo fosse stato una delle cause, che affrettarono la morte del papa. Da un lato — così il Cusano — egli aveva riconosciuto l’innocenza dell’arcivescovo e considerato come un dovere l’assolverlo; ma d’altra parte era da temersi niente meno che una rottura colla Spagna qualora egli avesse annullato la sentenza dell’inquisizione spagnuola. Lo stesso Cusano attesta che a questo proposito Filippo II si espresse nel modo più reciso essendoché avrebbe dovuto avverarsi un grande scandalo e un grande danno in Ispagna se fosse caduto sull’inquisizione il sospetto che essa avesse fatto uso della sua potenza per servire alla vendetta privata di alcuni suoi officiali. La continua ansietà e inquietudine di coscienza, la difficoltà di trovare la sua via fra i due scogli è stato — dice il Cusano — il vero principio della sua inguaribile malattia, una delle pietre, che gli hanno prodotto la morte.2 Si sarebbe ingiusti se si volesse considerare lo zelo di Pio V a favore dell’inquisizione e per la punizione dei rei siccome una manifestazione d’innata durezza. Nei consigli che mandò a principi e vescovi sul modo di trattare gli eretici egli ha chiaramente espresso i pensieri, che determinavano la sua condotta verso i seguaci delle nuove credenze. Primieramente secondo la sua convinzione il primo dovere del principe è l’amministrazione della giustizia; ora la giustizia esige la punizione e punizione rigorosa dei rei come la protezione degli innocenti, e l’apostasia dalla Chiesa è ai suoi occhi un grave delitto.3 Inoltre egli era fermamente persuaso, che precisamente col rigore verso i settarii del suo tempo si risparmiasse molto versamento di sangue e al contrario colla tolleranza e con mezze misure si provocasse il peggiore dei mali.4 Di qui il suo avvertimento a Caterina de’ Medici, 1 Archivio (4 om za sa ¡ili Mantova. - * Cusano, 24 maggio 1572. 3 « Mali YÌtiorum poenam boni virtutum praemium, sibi a te expectandum esse intelligant Haereticorum venena ne gregem tuam inficiant, quanta potes diligentia contentile ». Al vescovo di Agrain, 11 agosto 1569, presso Goubau 203. 4 « Halles, carissime Fili, reecns exemplum sceleriis, furoris, audaciae liae-reticorum. Vides, quam noceat cum( iisi molliter agere quibus impunitas auget audaciam, patientia furorem, clementia feritateli!. Intelligere potes, quam inutile sit eorum consilium, qui suadent, ut différas et procrastines etc. ». A Carlo IX. 16 giugno 1566, preisso LaderOhi 1566, n. 423. « Si superiores reges Franciae dissimulando elt tolerando id mainili crescere passi non fuissent, facile estirpare tiaereses et regni sui ¡paci et quieti consulere potuissent ; neglectis praedecessorum nostrorum paternis liortationibus, dum istiusmodi carnis prudenti« nituntur, sublata pace, quae sine unico rectae veraeque religionis cultu manere non potest, regnimi illud ... in extremum periculum adduxeruut ». A Sigismondo di Polonia 16 marzo 1568. presso Goubau 73.