Clemente Vili evita la rottura con Filippo II. 151 governare nemmeno monaci e monache, che pnr sono primariamente soggette a lui; nessun re, nessun principe terreno possedeva una giurisdizione in cose, nelle quali si trattava solo di religiosi e della rimozione di gravi sconci morali. Egli aveva agito in questo affare su la base di una rigorosa inchiesta, non già precipitosamente, ma dopo matura riflessione, a seconda del suo sacrosanto dovere quale supremo pastore della Chiesa. Pure in Venezia, ove i conventi erano ricolmi di congiunti dei reggitori della repubblica, senza trovare ostacoli, aveva emanato simili ordini. L'exequátur in Napoli gli era ben noto. Esso non esisteva da tempo immemorabile, ma era solo stato concesso per le diocesi, acciocché non si intromettessero in queste personalità avverse alla Spagna. Il potere civile l’aveva poi poco a poco esteso, e voleva ora servirsene per impedire persino una urgentissima riforma claustrale. Che Olivares badi, che l’arco troppo teso non si spezzi. Solo per riguardo verso il re gli scriveva da uomo privato e non come papa. Clemente scelse pure la forma d’una lettera autografa privata, allorché il 15 ottobre 1596 si rivolse a Filippo II stesso a causa delle usurpazioni in Napoli ed in Milano. Ivi viene esposto minutamente lo stato delle cose, e schiarito con documenti allegati. Il papa si lagna in termini assai energici; egli fa rilevare seriamente che l’usurpazione della giurisdizione ecclesiastica pregiudicava pure quella civile; che se per parte di impiegati venivano trattati in tal guisa vescovi e sacerdoti, questi verrebbero a cadere nel disprezzo, e non poteva darsi che non vi penetrasse l’eresia e lo scisma, poiché proprio questo è lo scopo sul quale tutti i novatori sono d’accordo, nell’umiliare e distruggere l’autorità della Santa Sede.1 L’11 ottobre 1596 dovette Clemente VIII muovere lagnanza in un breve diretto al re, anche circa la violazione della libertà della Chiesa, da parte dei rappresentanti di Filippo II a Cambrai.2 Il confessore del papa, il dotto Baronio, si rivolse con insistenza alla coscienza di Olivares, che era un ardente ammiratore dei suoi Anuales. « Se io », così scrisse egli « dovessi arrivare colla mia opera sin ai nostri tempi, ed al governo del potente re « cattolico », dovrei riferire, che nel regno di Napoli furono mandati in esilio, dal viceré, dei vescovi come sotto l’imperatore Decio; che furono tolti dei beni alla Chiesa, e che l’autorità pontificia venne gravemente disprezzata, dato che non si permetteva nemmeno il cambio dei confessori nei conventi. L’oppressione del clero da parte del potere civile, come regna nei territori spagnuoli, equivale ad un’eresia velata. Io non potrò a suo tempo celare la verità, se nel descrivere 1 Vedi il testo della * Lettera (Biblioteca Vaticana) nell1 Appendice Nr. 42. 2 Vedi Gorresp. de Frangipani 394 s., (cfr. 407 s.).