58 Clemente Vili. 1592—1605. Capitolo II. piacere. Quelli di sentimenti spagnuoli, non poterono dissimulare la loro costernazione, benché contestassero la certezza della no-' tizia. In grande impaccio si trovò l’ambasciatore spagmiolo Sessa, che non solo alla Congregazione di Trancia ma pure al papa, aveva annunziato per sicura l’elezione del duca di Guisa.1 Clemente Vili godeva di cuore, della confusione di questo diplomatico prepotente, che in ogni udienza avanzava nuove pretese da parte del suo re, ed esigeva nel modo più importuno un intervento energico della Santa Sede a favore dei disegni della Spagna, quasi « lo esigesse il servizio di Dio ».2 Così va inteso, quando viene riferito, che il papa aveva apertamente manifestato la sua soddisfazione per le novità,3 che gli dovevano riuscire gradite, anche perchè significavano pure un passo decisivo verso la soluzione della vertenza della successione, e verso il ristabilimento della pace nella Francia così duramente provata, presupposto però che la conversione sia sincera. Gli Spagnuoli lo misero subito energicamente in dubbio; ma siccome essi avevano spesso ingannato Clemente Vili sulla situazione in Francia, così egli fu lontano dal prestar loro una fede assoluta. Dapprima volle attendere notizie più precise. Con alcuni cardinali si espresse, che se la maggioranza assoluta in Francia si decidesse per Eavarra, e questi prestasse obbedienza alla Santa Sede, egli non poteva, come stavano ora le cose, respingerlo bruscamente. Così riferiva l’inviato di Mantova, Giulio del Carretto il 21 agosto in una lettera cifrata.4 Un giorno prima Paolo Parata aveva avuto con Clemente Vili un’udienza di un’ora, nella quale egli aveva esposto, con tutta l’eloquenza possibile, tutti i motivi per una riconciliazione con Navarca accennando specialmente al pericolo d’uno scisma in Francia. Il papa lo ascoltò tranquillamente, e si diffuse poi sulle difficoltà enormi, che ostacolavano la via per ogni decisione. Assolvere Enrico, così disse egli, significava farlo re. La Sorbona ed anche i teologi romani, dichiaravano che questo non era ammissibile, e che essi potevano a questo riguardo basarsi su canoni precisi. Parata opinava, che nelle leggi non si possono prevedere sempre tutti i casi; che qui si trattava d’una questione altrettanto 1 Vedi ibid. 162 s. 2 Vedi Herre 633. 3 Vedi la sopra menzionata Relazione a Vinta. Paruta (Dispacci I 305) riferisce: « Così da alcun cardinale, che già di ciò le avea parlato e che so che intende queste cose per il buon verso, ebbi certa informazione non essersi il. Pontefice per questi avvisi molto alterato, avere quetamente ascoltato chi le avea già parlato sopra questa materia per la confirmazione delle cose fatte dai!assemblea de’ vescovi di Francia, ma tuttavia restare ancora il suo animo involto nei soliti dubbi e perplessità ». 4 Vedi il testo di questa *Lettera del 21 agosto 1593 (Archivio G o n* aaga in Mantova) nell’Appendice Nr. 7.