Debiti dei baroni. - La leggenda dei Cenci. 625 dura.1 A base di questa bolla, potè la Camera Apostolica acquistare dai Savelli Castel Gandolfo.2 Ma il contrarre dei debiti da parte dei baroni non cessò neanche in seguito. I Sermoneta possedevano, nell’anno 1600, 24.000 scudi di entrate, di fronte a 300.000 scudi di debiti. Il più alto carico di debiti, 600.000 scudi, gravava allora su la famiglia Montalto.3 Molti nobili dettero grave scandalo, non solo con la loro prodigalità esagerata, ma pure colla loro vita sregolata ed immorale. Un terribile esempio di quello stato di cose, che fu ancora peggiorato dall’abuso vigente pure in Firenze ed in altri luoghi, di punire fatti di sangue con pene pecuniarie, vien dato dalla celeberrima storia dei Cenci.4 Questa nobile stirpe, il cui oscuro palazzo s’in- 1 Vedi la * Relazione di L. Arrigoni del 13 luglio 1596, Archivio Gonzaga in Mantova. Cfr. Dolfin, Relazione 454. s II prezzo dell’acquisto fu secondo 1’ * Avviso del 7 dicembre 1596 di 150,000 scudi. Urb. 1064 II, Biblioteca Vaticana. 3 Vedi la « Nota della entrata di molti signori e duchi Romàni » proveniente dal tempo di Clemente Vili presso Ranke, Päpste III6 109 *, il quale pur troppo anche qui, come anche spesso in altre occasioni, non indica dove trovò questo manoscritto. Io l’ho cercato invano nelle biblioteche romane. Clemente dovette concedere nel 1605 ai Farnese la fondazione d’un Monte di 750.000 seudi, le cui azioni dovevano rendere il 5 y2 % d’interessi; vedi Grottanelli, Il ducato di Castro 32. 4 * Decisivi per sventare la leggenda dei Cenci, dalla quale persino il Muratori si lasciò ingannare, sono state le diligenti ricerche archivistiche di A. Bertolotti (Fr. Cenci e la sua famiglia, Firenze 1877, sec. ediz. ampliata ibid. 1879). Su questo si basa lo spiritoso articolo di A. Geffroy nelle Études ital. Parigi 1898. Bertolotti andette bensì troppo oltre, se egli, nelle sue conclusioni finali, presenta Francesco Cenci come un padre di famiglia geloso dell’onore della sua casa. Questo lato debole della sua descrizione, attaccò Labruzzi di Xexima nella Nuova Antologia 2. Serie XIV (1879) 418 ss., contro di che si fece finire Bertolotti nella Riv. Europea X.Ili (1879) 51 s. Bertolotti difende ivi felicemente l’autenticità dei suoi documenti, ma le sue conclusioni rimangono con lutto ciò un po’ arrischiate. Riguardo agli attacchi di Labruzzi a Clemente Vili, persino uno scrittore così antipapista come Brosch dice che sarebbe errato di parlare d’un'« eccessiva benignità» di Clemente Vili, ma che il rimprovero elio il papa e gli Aldobrandini abbiano tratto vantaggio dalla confisca dei beni 'l'onci, « non è fondato ». « Si deve inoltre ammettere » - così prosegue Brosch HI ist. Zeitschr. XLV 177 s.),-che la confisca era legittima e veniva quasi sempre pionunciata in simili casi. Inoltre si può considerare come straordinaria benignità, se Clemente assegnò alla vedova di uno dei condannati, di Giacomo, rateilo di Beatrice, una somma di 100 scudi mensili per il suo sostentamento, 0 consegnò ai figli di cotesto Giacomo un capitale di 80.000 scudi dal possesso ' °Hfìscato ». Recentemente Rinieri (B. Cenci secondo i costituti del suo pro-^lena 1^09), si è occupato profondamente della questione. Talvolta ' g ì biasima con ragione l’imperfetta edizione dei documenti da parte di Ber- 0 otti (p. 26 s.), ma giudica lo stesso rettamente il lavoro di questo scien-■'Ui o come molto prezioso. Rinieri ha trovato in Maiocchi (La pretesa illiba- Cenci: Riv. d. scienze stor. VII, 4 (1910) un difensore contro gli 1 acclii di Vecchini in La Letteratura X, 1 (1910). Cheldowski (Rom. Die Pastor, Storia dei Papi, XI. 40