Le mire cesaropapiste di Filippo II. 145 samente raggiungere le sue intenzioni contro la Francia; perciò egli cercò di influirvi moderando.1 Ma neanche allora venne in niente al re di Spagna di frenare le sue ambizioni cesaropapiste. Le relazioni di Filippo II verso la Chiesa, nei paesi a lui soggetti, erano così singolari, che molti, sebbene a torto, sostenevano persino che il sentimento severamente cattolico del re fosse fondato, non su una sincera convinzione, ma su la prudenza politica. Ne di ciò è da meravigliarsi, riferiva un diplomatico fiorentino nell'anno 1591, se si vede quello che i nunzi pontifici debbono subire a quella corte. L’elenco degli abusi, enumerati da questo testimone ben informato, è abbastanza lungo: disprezzo dei privilegi ecclesiastici; bolle pontifice respinte, incominciando da quella importante In fìoena Domini, fino a quella che vietava le corride, che costavano annualmente la vita a cinquanta uomini; uso delle entrate ecclesiastiche a scopi del tutto diversi; condanna di sacerdoti e di religiosi per parte di tribunali civili, e talvolta, come avvenne in Portogallo, condanna a morte di persone ecclesiastiche; divieto di richiedere le dispense matrimoniali in Roma; grave abuso della bolla Cruzada; completo dominio dell’inquisizione, abbassata ad istituto di stato. Come prova tipica dell’abuso della religione a scopi politici, viene addotto l’intervento di Filippo II nei torbidi religiosi del regno inglese e francese, nel che è richiamata l’attenzione su l’infame calunnia contro la purità della fede di Sisto Y. La credibilità di questo esposto viene confermata dal fatto, che il suo autore è abbastanza giusto nel riconoscere che il re di Spagna, mentre mirava ad aver nelle sue mani tutte le prebende ecclesiastiche del suo regno, dagli arcivescovadi sin alla più piccola cappellania, badava con scrupolosa coscienza, a che ovunque venissero nominati ■solo i più degni ed i più capaci.2 Filippo II veniva sostenuto ed incoraggiato nelle sue aspirazioni cesaropapiste da sacerdoti assetati di favori e di grazie, i quali avevano giurato sulla loro coscienza, di rispettare i diritti e la libertà «Iella sposa del Signore, al disopra di ogni riguardo umano. Appunto all’inizio del pontificato di Clemente VIII uno di questi teologi cortigiani, le cui mene rendevano meno grande la colpa del re, Giovanni Rova Davila, compose in Madrid un’« Apologia dei diritti dei principi3 », che intaccava i diritti della Santa Sede in modo, 1 Cfr. sopra p. 8. 2 Vedi la Relazione di Spagna presso C. Bratli, Filip den anden af Spanien, Köbenhavn 1909, 189 s., 192. Cfr. anche i detti degli ambasciatori veneziani presso Gindely, Rudolf II. Vol. I 21. 3 Ioannis de Rova Davila tiieoj.ogi Apologia de iuribus principalibus defendendis et moderandis iuste ad eath. Hispaniae regem Philippum II, Matriti 1591. Cfr. BARONius, Annales VI ad an. 447, n. 8. Pastor, Storia elei Papi, XI. 10