i66 no le nostre furlane, e il Nio nio e nota, quelle festose danze nazionali dei tempi della Repubblica, con cui allora terminavano tutte le feste del popolo, e di cui ancora, benché di rado, si ripete pure la costumanza fra’tripudii di qualche sagra nelle remote corti o ne’campielli di castel- lo e di santa Marta, o sull’ erba del Lido nei lunedi di settembre; mentre più spesso ancora la cara e affettuosa melodia rompe ed allegra i quieti silenzi! della laguna, quando le liete brigate de’ nostri artigiani o delle donne de’ nostri barcaiuoli ritornano a casa la sera dalle lor gozzoviglie o garangheli. Quanto alla forma, le antiche ballate liriche, come si può veder nei canzonieri di Dante, del Petrarca, del Bembo, nelle giornate dui Boccaccio, e ancora più largamente nelle Rime o-neste del Mazzoleni, si componevano di endecasillabi, e settenari’! e avevano una entrata nel principio, che si replicava talor anche alla fine ed una o più strofe; onde nel primo caso si chiamavano nude o semplici, vestite o replicate nel secondo. L’entrata era come una mezza strofa, di tre versi se dispari era il numero dei versi della strofa; di quattro se pari. Simile in tutto per la forma alla ballata era la lauda, specie di ballata religiosa, e la cobbola, ballata nuda cui mancava l’entrata, e che conteneva per lo più