306 Clemente Vili. 1592-1605. Capitolo VI. ecclesiastica e la fìssa sino ai suoi dettagli. Francesco, come vescovo, è il pastore delle anime; per la sua consacrazione episcopale, così egli la concepiva, non apparteneva più a se stesso, ma tutto al suo gregge. Così egli si dà tutto a tutti, tanto al cattolico quanto all’ugonotto, al nobile quanto al pastorello, così all’uomo colto come all’ignorante, all’adulto come al bambino. Nelle innumerevoli prediche, nel catechismo ai fanciulli, nel confessionale, nella corrispondenza, nei lavori letterari si dedica egli completamente al bene degli altri; per lui è indifferente se per questo deve esporsi a fatiche materiali ed a privazioni, a pericoli di morte e ad insiliti. Uomini autorevoli dissero di lui, che in nessuno rifulge così l’immagine di Cristo, come in quest’uomo. Francesco di Sales era per natura un’anima contemplativa in un grado più elevato che non il Borromeo; il vero diletto del ; no cuore stava nell’approfondirsi nelle dottrine della fede, e con lo studio e con la contemplazione colmare sempre più la mente ed il cuore. Ma egli trascurava pure questa inclinazione, se si trattava di servire gli altri; sembrava che la sua alta cognizione delle verità sopranaturali esistesse sopratutto per dilucidarle e difenderle dinanzi agli altri, per farle comprensibili ai dubbiosi, per render cara la loro ricchezza ai credenti, ma sopratutto per favorire la loro applicazione in una vita cristiana, e così condurre le anime all’amore di Dio. Ciò è connesso al fatto che le prescrizioni di Borromeo hanno dapprima di mira il clero, che egli vorrebbe rinnovare ed elevare, mentre Francesco si rivolge a preferenza ai cristiani che sono nelle ordinarie vicende del mondo. Il cardinale ili Milano, nel suo stile giuridico, può talvolta dar l’impressione d’una severità «he quasi incute spavento;1 i Giansenisti cercarono più tardi di appellarsi a lui per le loro rigidezze. Presso Francesco, al contrario il tratto più spiccante è la sua mitezza e bontà inalterabile. D’indole egli era bensì un carattere vivace, ardente e inclinato all’ira; negli anni più maturi, quando ancora la sua mitezza ebbe a subire una grave prova, confessava che l’ira aveva ribollito nella sua testa come l’acqua bollente al fuoco.2 Ma già nella sua gioventù aveva egli dedicato più anni a domare questo suo naturale,3 e dall’inizio del suo ufficio episcopale non era più uscita dalle sue labbra una parola eccitata contro i suoi dipendenti.4 Ognuno sentiva subito, conversando con lui, che nel caso 1 Francesco stesso dice di lui: Borromeo, secondo la sua disposizioni naturale che egli sapeva bensì trasformare e dominare, era stato un carat-si ‘ di un rigore ferreo: « C’estoit l’esprit le plus exact, roide et austère qu’il es possible d’imaginer. . ., l’homme le plus rigoureux de cet aage ». A Chanta il 14 ottobre 1604, Lettres II 365 s. 2 Hamon II 507. 3 Ibid. I 51. 4 Ibid. II 507.