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Appendice.
negli anni 1631-1635. Ambedue le pubblicazioni hanno fatto molto per chiarire una delle più difficili questioni delia storia moderna. E trovarono dappertutto del plauso, compresa la Germania.
   Gustavo Wolf storico -rinomatissimo fa l’elogio del Leman nella Zeiiachrift fiir Kirchengeschichte XLIV 139 s. Egli rigetta completamente le relazioni veneziane, che servirono di base per lianke e Grego-rovius, scrivendo ben a proposito: «Venezia in quel tempo era in aspra contesa colla Curia, e questa discordia naturalmente si rivelò nei rapporti diplomatici e colorì pure le relazioni degli ambasciatori. Inoltre i Veneziani giudicarono la politica papale dal punto di vista italiano, il che vuole dire che gli affari di Germania e le grandi questioni intemazionali li interessarono solamente, in quanto influivano sulla situazione politica d’Italia ».
   Paolo Negri, morto prematuramente nel 1936, aveva l'intenzione di fare delle aggiunte importanti al libro del Lemlan. Non acconsente <M tutto allo storico francese, però ne riconosce caldamente i meriti e rigetta anche egli l’opinione del Ranke e quella più avanzata del Gre-gorovi us. Egli con ragione deplora che lo storico francese abbia trascurato la politica italiana d’Urbano e con un :suo articolo: Urbano e Vitalia in u Nuova Riv. stor. », VI (1922), 168-190, la spiega da parte sua, ed insieme ci fa meglio capire il complesso della politica d’Urbano Vili. Sfortunatamente la morte gl’impedì di pubblicare una monografia su questo argomento come aveva voluto.1 Ne diede soltanto un rapporto col titolo: La guerra per la successione di Mantova e del Monferrato, Prato 3924. Relativamente all'idea che il Negri si fa dell’italianità d’TJr-bano Vili il Borxate (Riv. stor. ital., XLII, N. S. Ili, 1-2, p. 162 s.), osserva con ragione: (di Negri vorrebbe vedere, almeno, in Urbano Vili un I’apa italiano, il più italiano di quanti sedettero nella cattedra di S. Pietro dopo Alessandro VI. ... Allo stato degli atti mi pare che questo titolo Idi italianità non possa competere ad Urbano VIII più che a Giulio II od a Clemente VII ».
    Riferendosi al giudizio idei Bornia te il Quazza (II 362) scrive: «Urbano aveva certamente compreso, come del resto tutti i governi italiani, che sarebbe stato necessario, per la quiete d’Italia, che Carlo Emanuele e il Nevers si accordassero direttamente per evitare che un intervento della Francia e della Spagna provocasse un conflitto più vasto. Alle parole che egli diceva all’ambasciatore sabaudo Ludovico d'Agliè nel febbraio 1628: ’’Alla gloria del signor duca di Savoia, il quale si può dilaniar difensore della libertà d’Italia, compete il terminare da sé solo questa differenza senza intervento di Spagna e di Francia. E quando ciò non si possa senz’opera di mezzano, farlo per la via nostra o d’altro principe che non sia straniero, o che non abbi in mira di fabbricai« la sua monarchia sopra le ruine degli altri ” (Caxtù op. cit. t. V p. 7S2, il 8), non si può attribuire il valore di un grido d’italianità come oggi la intendiamo noi, ma solo l’espressione di un intimo desiderio di pace e deila consapevolezza del pericolo che dall’allargamento del conflitto sarebbe derivato ad ogni singolo stato italiano, compreso lo stato della
    1 Vedi M. Ott lin The Catholic Encyclopedia XV 220.