728 Urbano Vili. 1623-1644. Capitolo Vili. che anche i buoni ne rimasero ingannati. A ciò si è aggiunta la debolezza del clero, particolarmente dei religiosi, i quali per i loro interessi particolari si mettevano sempre dalla parte del governo e si conducevano con la più grande indulgenza verso la nobiltà. Nessuna meraviglia, che oggi il governo faccia valere come suo diritto l’usurpazione della giurisdizione ecclesiastica e si attenti a dare ordini perfino in cose puramente religiose e a costringere i preti con minaccie ad assolvere dalle censure. Dei senatori di sentimenti ancora sinceramente cattolici una parte è morta, l’altra non arrischia nessuna opposizione a causa dei suoi interessi privati; così la nuova generazione, dominata dalle idee del Sarpi, ha preso le redini in mano. Trattative particolari con il nunzio, come sono d’uso in altri Stati, a Venezia non vengono accettate. Senza neppure udire gli argomenti in contrario, si prendono le decisioni più importanti secondo il parere di uno scolaro e confratello del Sarpi, Fra Fulgenzio. Il clero regolare sta dalla parte del governo, appunto perchè teme di esser disturbato dal nunzio e dal papa nella sua libertà di vita. Invano il Cardinal Cornare si è rivolto a suo padre, il Doge, invano egli, il nunzio, ha esposto al Doge che Urbano Vili non può tollerare la violazione dell’immunità ecclesiastica, divenuta regola dall'interdetto del 3605 in poi. Non si è accettata neppure la richiesta di abolire almeno queste innovazioni. Il Doge dichiara di essere senza potere di fronte al Senato. L’Agucchi consigliava pertanto d’aggiustare le contese coll’ambasciatore veneto a Roma, il quale però dovrebbe accettar di trattare.1 Ma anche qui non c’era da sperar nulla. Invano il papa si lamentava coll’ambasciatore della condotta della Signoria in affari ecclesiastici, o del pregiudizio arrecato da Veneziani agli abitanti di Ferrara e di Bologna.2 Le trattative erano tanto più senza speranza di riuscita, in quanti» Urbano Vili, quale padre comune della cristianità, rifiutava di abbandonare, come Venezia desiderava, la sua posizione imparziale negli affari politici. Frattanto disponeva in Venezia degli affari ecclesiastici a sU" piacimento fra Fulgenzio, secondo il cui consiglio decidevano ogni cosa i politici, innanzitutto l’influente Domenico da Molino, "j seguiva ciecamente questo frate di inclinazioni calvinistielie, ' quale era nelle relazioni più strette cogli inviati protestanti e pe' giunta conduceva una vita immorale. L’influenza di Fulge'iz1" 1 Vedi la * Relazione dell’Agucchi del 10 aprile 1627 in Nicoletti. , Fulgenzio era « deputato della Repubblica a rivedere le bolle aposto i< 11 ^ le provisioni degli ordinandi che si presentarono in collegio per ottener i sessi temporali de’ beneflcii ecclesiastici ». Cfr. la * Relazione dell Aguc< 11 22 giugno 1624, loc. cit. 4 Cfr. Ang. Contarini 300 s.