113 Mi [lare che sarebbe giustizia ch’ella pubblicasse lu mia lettera con che pure obbligherebbe Un Fonsista. XXII. Alla mia infedele. — Sfogo del cuoiie. Sic vos non volis . . . O gioventù, o bella, splendida figlia della natura, o felice eia dell’oro della vita, che come infida nutrice in dolce sonno d’illusioni e ili care speranze ne culli e addormenti, poi nel sonno ti fuggi, nè più all’aprire degli occhi l’uomo ti trova, ed io pure mi lasciai corre alle soavi lusinghe, m’addormentai nel fallace tuo seno, e sognai sentieri di giacinti e di viole, e vidi splendori di grandezze e di glorie! Oh speranze! O miei sogni! Ei sparirono il dì che in te, cara infedele, per cui queste amare pagine io scrivo, mi fece abbattere la fortuna. Da quel dì più non ebbi che un solo pensiero, e questo pensiero fu tuo; tu fosti la mia dama, a te consacrai l’anima, l’intelletto, l’estro, la penna; inforno a te spesi, dono prezioso! tutto il mio tempo. Pur non eri nè bella, nè gentile, nè chiara : povera e oscura mi venisti dinanzi, disadorna