Il monumento sepolcrale di Urbano Vili. 953 nelle chiese tutt’al più per i putti.1 A destra di chi guarda si appoggia al sarcofago la figura, scolpita in fine marmo bianco, della Giustizia, una volta e mezza il naturale; contornata da due putti, essa rivolge in alto uno sguardo pieno di dolore.2 Anche la statua della Carità dall’altro lato, con un bimbo in braccio, è in cordoglio, ma il suo sguardo compassionevole è rivolto, anziché in alto, a un bimbo vicino a lei, che, facendo cenno all’insù, piange la perdita del gran papa. Sul sarcofago, in atto di voltare il dorso allo spettatore, il capo semivelato, è accoccolato uno scheletro di bronzo dorato, che con ossea mano scrive in un rotolo nero a lettere d’oro le parole: « Urbanus Vili Barberinus Pontifex Maximus ». Si vede ancora la lettera iniziale del nome del predecessore, una trovata sorprendente, dice il Baldinucci, che forzò ciascuno all’ammirazione e suggerì al cardinale Rapaccioli i versi, in cui è detto, che il Bernini aveva riprodotto il grande Urbano così vivente e aveva saputo talmente infondere la sua anima nel duro bronzo, che, a togliere allo spettatore la credenza di aver il papa vivo innanzi a sé, la morte in persona compare sul sepolcro a testimoniarne la dipartita.3 Quanto colgano nel segno questi versi spiritosi, lo mostra uno sguardo alla grandiosa figura di Urbano Vili, in bronzo nero-cupo con doratura lucente del vestito, la quale troneggia in cima in piena maestà, e, a differenza del Paolo III di Guglielmo della Porta, non benedice placidamente, ma, rimovendo con violenza il suo ondeggiante vestito sfarzoso, solleva energicamente in alto la destra, per dar la benedizione «Urbi et orbi».4 Lo scintillio magico della doratura spruzzata sul mantello ricorda il tono d’oro dei quadri contemporanei del Rembrandt.5 1 Cfr. Brinckmann, Barockshulptur II 266 e il parere riportato, p. 944, n. 1. Anche le figure femminili nelle pitture del soffitto di Palazzo Barberini (vedi sotto p. 968) sono tutte vestite. 2 « Sarebbe stata un’offesa contro ogni buon gusto, dice il Benkard (15), il dare al sepolcro di Urbano un movimento eccessivo, e proprio in questa subordinazione alle circostanze si rivela la grandezza del Bernini ». 8 Vedi Baldinucci, ed. Riegl, 112 s. Il Fkaschetti (155) attribuisce erroneamente i versi al cardinale Panciroli. Sull’introduzione dello scheletro, che ha avuto molti biasimi, il Reymond (77) osserva giustamente: « Le Bernin, en évoquant l’idée de la mort, ne fait que reprendre la tradition du moyen- âge et se conformer à Pâme des pensées les plus chères au christianisme..... Le squelette, fin dernière de cette chair, à laquelle l’homme voudrait s’attacher, doit toujours être devant nos yeux, pour nous dire que nous ne devons pas agir en vue de notre corps mortel, mais pour notre âme immortelle ». 1 * « La vaghezza de’ marmi pretiosi e de’ bronzi e la nobiltà del disegno non solo eccitano lo stupore in chi rimira tutta l’opera insieme, ma vien giudicata una delle cose più cospicue et ammirande, che adomano quella sagro-santa basilica », scrive il Nicoletti (VII 767, Biblioteca Vaticana). Cfr. con queste parole la lode data dal Reymond (73 s.) all’Opera. La spesa ammontò a 25.000 scudi; vedi Fkaschetti 158. 5 Vedi Benkard 16.