NICOLA I E LA STAMPA 109 rore, furono educati in Italia. Il Times mutò dipoi contegno verso il piccolo Principato, nè poteva accadere altrimenti, date le relazioni o, per meglio dire, la rivalità fra l’Inghilterra e la Russia; ma la campagna che in quella circostanza il gran gior- nale della city fece per la causa serba, e la gene- rosità e 1’ attività con cui il suo corrispondente cercò sul posto di alleviare i dolori e le miserie dei poveri erzegovesi, sono ancora ricordate con affet- tuosa riconoscenza. Di italiani vi era là, come corrispondente e come combattente nel tempo stesso, 1’ amico Po- povich, che mandò delle lettere interessantissime al giornale che ho adesso 1’ onore di dirigere. Una volta, dopo uno scontro, redasse per il giornale in cui scriveva il dispaccio in cui dava la notizia del fatto d’armi, descrivendone sommariamente le fasi. Vi era qualche piccola inesattezza della quale il Principe, leggendo il dispaccio, avverti il corrispondente.... Ma poi prese la penna in mano e scrisse egli stesso il dispaccio per la Nazione, del quale il Popovich custodisce, come prezioso ri- cordo, 1’ originale. Ha saputo comprendere l’influenza e l’azione che può esercitare il giornalismo e servirsene, come sa rivolgere sempre allo stesso scopo il suo in- gegno poetico. Molto prima ancora del brindisi di Belgrado, egli aveva chiaramente manifestato