7° stè rapito al materno suo seno era cagione di quell’angoscia: un amabile fanciulletto su cui a quando a quando stempra vasi in baci ed in pianti le slava dinanzi: egli era il figlio di suo figlio, ed ella insegnavagli a proferire il nome paterno e ripetere la devota preghiera dei trapassati; intanto che quella ignara innocenza stendeva la mano, fanciullescamente scherzando coi fiori che aveauo messo su quella terra che gli nascondeva per sempre l’autore dei suoi giorni. Un quadro cosi pietoso m’intenerì fino alle lagrime: io mi rivolsi altrove, e qui piangeano misere vedove sulle tombe dei loro mariti; là tenere sorelle chiamavano i cari fratelli per nome; e da un’altra parte qualche giovane amico, ancora fedele, dolorava la perdita dell’ antico compagno della sua fanciullezza. Ma mentre io vedeva il modesto sepolcro del povero e dell’oscuro confortato dal pianto e dalle preci dei memori viventi, un fiore, una lagrima non appariva presso quelle pietre fastose, onde 1’ ambizione e 1’ orgoglio dei mortali volle perpetuarsi fino in mezzo ai sepolcri. Muti e abbandonati stavano quegli avelli; il rigido vento del novembre solo vi fischiava tra l’orbe parassite che li sormontano: gli sguardi dell’indifferente viaggiatore freddamente vi si arrestano; egli vi cerca i nomi delle famiglie, o studia la