Giudizi su Urbano Vili. 899 la maggiore approvazione le freccio avvelenate dirette contro l’oppressione fiscale accresciuta dalla guerra di Castro. Una poesia satirica, che deride tutte queste tasse, termina coll’asserzione: Urbano Vili e i suoi nepoti han danneggiato la mia bella Roma più dei Goti e dei Vandali.1 Questa era un’esagerazione smisurata.2 Certo l’influenza eccessiva e l’immenso arricchimento dei Barbe-lini costituiscono per il pontificato, durato quasi ventun anni, di Urbano Vili la macchia più grande, come sentì egli stesso; ma per questo biasimo giustificato non si debbono dimenticare i molti meriti da lui acquistati quale capo supremo della Chiesa, nè quel ch’egli fece a prò della letteratura e dell’arte, con vantaggio per l’aspetto esteriore della Città Eterna. Perfino un Veneziano, Giambattista Nani, giudicò che Urbano Vili, se non avesse mostrato una debolezza così grande verso i suoi congiunti, sarebbe stato, per la purezza dei costumi, la dottrina e le sue cognizioni politiche, uno dei più grandi principi dell’età sua.3 ripetuto, messo in bocca ad Urbano VIII sui suoi nepoti (vedi Moroni IV 113), che è stato trasmesso dal Gigli, verosimilmente appartiene anch’esso a queste satire. Vedi anche Adrian, Mitteilungen aus Handschrijten, Francoforte 1846, 318 s.; Grottaneli.i, Ducato di Castro 816 s. 1 Cfr. sopra 898 n. 2. 2 Perfino l’Ameyden dice delle satire d’allora: « Partim probanda, quia vera referant, partim improbanda, quia falsa et calumniosa » (Arch. Som. II 260, n. 1). 3 Cfr. Nani, Hist. Venet. II 8.