Organizzazione dell’opera delle Missioni fatta da Propaganda. 107 Questo « ministero pontifìcio delle missioni » mirava sovrat-lutto a rendere più semplice e più ecclesiastico il carattere delle missioni, centralizzandole e vincolandole più strettamente che fosse possibile alla Santa Sede e liberandole dalle catene laiche degli Stati coloniali che minacciavano di soffocarle.' A tal uopo era la Propaganda che doveva prendere in mano le redini, inviare e sorvegliare i missionari, regolare l’attività missionaria e ripartire i territori missionari; perciò già il 20 febbraio e il 24 giugno 1623 ordinò a tutti i superiori degli Ordini di comunicare i nomi dei loro membri, ivunque inviati per la diffusione della fede e i luoghi della loro destinazione, affinché ricevessero dalla Congregazione, dopo diligente esame, la loro patente missionaria, e per parte loro riferissero ugni anno, pena le sanzioni ecclesiastiche, sullo stato, sulle prospettive e sui mezzi delle loro missioni.2 Vero è che questo decreto non ebbe mai completa attuazione e che quell’ideale fu raggiunto solo dopo lotte acri e secolari colle autorità coloniali spagnuole e portoghesi, ma come meta s’affacciò alla Santa Sede fin dalle origini ed essa vi si mantenne tenacemente fedele fino alla vittoria tinaie.® Con ciò almeno in principio e in germe e, dopo aver superato le infinite resistenze, anche nella pratica realtà, si otteneva di migliorare e spiritualizzare i metodi missionari, di rendere più larga e più autonoma la gerarchia episcopale delle missioni, di completare l’afflusso delle forze anche con altre nazioni e con sacerdoti secolari, di aumentare perfezionandolo il contributo del clero indigeno e delle forze ausiliarie.4 In tutto il primo periodo più che delle missioni dei pagani la Propaganda si preoccupava in prima linea delle Chiese orientali i' delle complicate missioni nei paesi protestanti, nei quali la cura -58 s., poi una serie di altri studiosi, fra i quali vanno rilevati: Cauchie (Sourcen mss. à Rome, Bruxelles 1892, 10 s.), Sciimürlo (in Roma e l’Oriente I 101 s.), I. Kollmann (in casopis musea Kral. Ceského LXVI [1892] 423 ss; Mitteil. aus dem Landesarchiv des Königreichs Böhmen I [1906] 51 s.), Fish (Quide io thè mal. oj Amene, llist. Washington 1911, 111 ss.), Bbom (Archivalia in Italié III [1914] lx ss.), Schmidlin (nella Zeitschr. für Missionsu-iss. XI [1921] 142 s.) e finalmente di nuovo Kollmann nel suo (Tomus prodromus agli .lei« S. Congreg. de Prop. res gestas Bohem. illusi r.), ehe ho potuto consultare in volume separato, ma ancora inedito. L’apertura dell’archivio della Propaganda è dovuto a Leone XIII. Le pubblicazioni che ne seguirono, specie 1 lus. pontij. e le Oottectanea hanno reso del tutto antiquata l’opera del Mejer, basata in parte su materiale poco sicuro. Pieper riferisce (loc. cit. 84) sulle perdite causate all’archivio dal suo trasferimento a Parigi. Nei rivolgimenti di quei tempi alcuni atti capitarono anche nell’ Archivio di Stato in Vienna; sono 73 volumi dagli anni 1566-1809, che recentemente vennero restituiti alla Propaganda. 1 Vedi Huonder loc. cit., e Kilger loc. cit. s Vedi Ius pontif. II, 10 n. 8 e CoUectanea I 5 n. 6. ‘ Vedi Kilger loc. cit. 20 s. 4 Vedi Huoxder loc. cit. 66 s.