Contegno del clero veneziano riguardo all’interdetto. 103 scovi, con la maggior parte del clero, così secolare come regolare, havessero intrepidamente detto di volere obedire al Superiore loro supremo et servare l’interdetto, non è dubio che il Principe averia portato respetto alla moltitudine, alla dignità, alla nobiltà ». Ma essi si scusarono dicendo che l’obbedienza verso il papa era punita di morte, e si dettero a credere che una legge umana in simili circostanze non obbligasse, quantunque fosse un segreto per ridere che le minaccie di morte erano appunto concepite quali semplici minaccie « per coprire la disubidienza de’ sacerdoti con il mantello del timore »; del resto tutti sapevano che l’interdetto, anche senza costrizione, non sarebbe stato osservato.1 Il papa fu talmente scontento dei vescovi veneziani che pensò a far loro il processo e deporli tutti.2 Il vescovo di Brescia, per verità, parve da principio voler obbedire al papa; ma quando il senato minacciò i vecchi genitori di lui colla perdita del patrimonio e della nobiltà, anch’egli non fece più resistenza.3 Dal clero inferiore di Venezia in generale non era da attendersi resistenza. Esso era in gran parte intristito sotto la pressione della statolizzazione della Chiesa in Venezia. Nessuno di buona famiglia, secondo che afferma un foglio volante di quel tempo,4 si fa prete a Venezia; i parroci vengono scelti dal popolo, e nella scelta ciò che decide sono riguardi d’amicizia ed intrighi, dimodoché hanno il posto sempre i più ignoranti e i peggiori; i preti sono disprezzati e nelle case dei nobili fanno addirittura funzioni di lacchè. Ancora peggio andavano le cose per i frati: al tempo di sono fuggiti, hanno si può dire riconosciuto per loro sommo Pontefice Leonardo Donato, Doge di Venezia. . . Quella Repubblica vuol esser cattolica solamente di nome, poiché in effetti è un’altra Cartagine ». Così lo scritto del Persio sopra (p. 87 n. 1) ricordato, Biv. Europea 1877, 394. 1 Bellarmino loc. cit., 19. 2 Vedi gli estratti dalle lettere del 22 luglio e 5 agosto 1606 presso Cornet 325 s.; cfr. 127 s., n. 3 e Capasso 91; « Ascanii S. R. E. Card. Columnae Episcopi Praenestini Sententia contra reipublicae Venetae episcopos SS. D. N. Pauli PP. y. Interdicto non obtemperantes », Roma e Ferrara 1606. Colonna consiglia di procedere con la scomunica, la privazione delle prebende e delle cariche onorifiche civili, presso Cornet 31 ss. Per incarico pontificio il francescano osservante Lud. Mosso doveva da Mantova agire sui vescovi; il Senato rese impossibile la sua azione. Cornet 112 n. 1. 3 Vedi le notizie in Brixia sacrai (1915), 229; Cornet SO s.; Capasso 99. Più tardi il vescovo riscosse la lode del Senato (Cornet 141 n. 1). Il vescovo di Treviso, che fece mostra di fare il suo dovere, e poi voleva rinunciare per presunti motivi di salute, fu condotto all’obbedienza ugualmente con minaccie contro i due suoi fratelli (ivi 91, 140 s.). Al vescovo di Verona di nuova nomina fu strettamente imposto di celebrare solennemente l’ufficio divino il 17 settembre 1606, altrimenti egli e i suoi fratelli perderebbero le loro sostanze (ibid. 136). Il clero istriano, salvo poche eccezioni, non osservò l’interdetto; v. Atti d. Soc. Istr. di stor. patr. XV (1898). 4 Molmenti negli Atti del B. Istituto-Veneto LX (1900 s.), 679 s.