140 Paolo V. 1605-1621. Capitolo IV. scrive il successore del Barberini, l’Ubaldini,1 Enrico IV era molto propenso ai Gesuiti e per cagion loro veramente sdegnato coi Veneziani. Ma anch’egli non potè ottener nulla: una volta espulsi, essi rimasero fuori della città delle Lagune per circa un cinquantennio. Un altro incarico ineffettuabile dato al Gessi riguardava « i seduttori nominati teologi », cioè il Sarpi e il Marsiglio. Dopo la riconciliazione, a Boma si credeva che la loro consegna all’inquisizione non avrebbe formato nessuna vera difficoltà, e si erano date istruzioni orali al nunzio in questo senso.2 Ma la repubblica, solo due giorni dopo la riconciliazione, aveva assegnato ai teologi di Stato pensioni annue da 100 a 200 ducati,3 e anche in seguito li sostenne fortemente come per il passato, cosicché al Gessi cadde in mente d’impadronirsi dell’uno o dell’altro colla violenza e trasportarlo per mare sul territorio della Chiesa.4 Da Boma si rispose al nunzio, che effettivamente i teologi non si potrebbero nè avere nelle mani, nè spingere alla fuga senza impiegar la violenza secondo ch’egli proponeva; ma si desiderava sapere quale effetto avrebbero fatto in Venezia misure violenti, essendo il senato protettore e favoreggiatore dei teologi. Il papa li citerebbe volentieri innanzi all’inquisizione. Ma che fare se, ad imitazione del Sarpi, di Fulgenzio e di Marsiglio, essi rifiutassero di obbedire ? Non era un male minore, lasciare per ora che le cose andassero per il loro verso, piuttostochè provocare una nuova rottura ?5 Pure un atto di violenza, e a dir vero assai più grave di quello così respinto, non venne evitato. Il cardinale Du Perron era giusto in sul punto d’iniziare, per commissione di Boma, un tentativo di conciliazione dei teologi di Stato con il papa,6 quando il Sarpi, 1 A Borghese il 5 febbraio 1608, presso Rein 113. 2 * Istruzione, loc. cit. 156T. 3 Cornet 255, n. 4. 1 Cessi a Borghese, il 4 agosto 1607, presso Rein 54. 5 * « Io credo bene che difficilmente s’havranno nelle mani nè si metteranno in fuga i falsi teologi di Venetia, se non si viene all’atto delle forze, che V. S. propone, ma essendo nel Senato la resolutione presupposta da lei stessa di favorirli e sostenerli, desidero d’intendere che effetto ella giudichi che possa partorire la violenza quando s’usi. Del chiamare li sudetti teologi al Sant’Ufficio, N. S. seria resoluto; nondimeno perchè furono chiamati fra Paolo, fra Fulgentio et il Marsilio, li quali se ne stanno nella loro contumacia con scandalo publico del mondo, intenderia volentieri S. B. da V. S., che consiglio si potesse pigliare, se non obediranno, e se sia minor male il procedere con dissimulatione finché il tempo consigli altrimenti, per non venire a rottura o pur rompere doppo Tessersi disarmato, per non tolerare l’inobbedienza et il dispreggio. Conosce forsi V. S. stando in fatti che questi estremi hanno li loro mezzi. . . ». Borghese a Gessi, l’il agosto 1607, Nuntiat. div. 186, f. 56v; Archivio segreto pontificio. 6 Borghese a Gessi, il 13 e 20 ottobre 1607, ivi f. 146v; 152T.