Paolo V e la contesa per la successione dello Jiilich-Clèves. 293 radice di ogni male la gelosia fra le potenze cattoliche, la quale le acciecava talmente da preferire che una provincia intera cadesse in mani protestanti piuttostochè una sola città in possesso del proprio avversario. Del resto la Francia per prima sperimenterebbe il danno apportato da ogni incremento della innovazione religiosa. Villeroi poi tornò al suo primo progetto di terminare pacificamente la contesa per lo Jiilieh mediante un matrimonio franco-spagnuolo.1 Una tale soluzione rispondeva perfettamente alle viste di Paolo V, che in tutta la questione aveva mirato fin dal principio ad un solo scopo: il bene della Chiesa. Questo esigeva che s’impedisse tanto lo scoppio di una nuova guerra tra le due principali potenze cattoliche, quanto il passaggio dei ducati del Basso Reno in mani protestanti. Gli era indifferente a quale dei diversi pretendenti finisse per toccare la ricca eredità; gl’importava solo che fosse un cattolico.2 Secondo il suo desiderio di un compromesso pacifico, il pontefice si era espresso ripetutamente in questo senso coll’ambasciatore francese in Roma, Brèves,3 ed aveva anche dato istruzioni conformi al nunzio di Parigi.4 Se il papa al principio aderì in favore di una decisione della controversia di successione da parte dell’imperatore, la quale conferisse i ducati a un principe cattolico, ma non della casa di Asburgo, Paolo V sperava di proteggere quei paesi dall’addivenir protestanti e al tempo stesso di accontentare Enrico IV. Ma questo calcolo fallì. I principi protestanti agirono risolutamente e si impadronirono dei territori. L’imperatore invece non possedeva nè forza nè volontà per compiere un passo decisivo. Anche Massimiliano di Baviera si tenne indietro. Il re di Francia si mostrò sordo a tutte le rimostranze papali e vegliava ansiosamente a che non si accrescesse la potenza dell’imperatore e degli Spagnuoli. S’egli non poteva acquistare quest’eredità della Bassa Renania per la Francia, preferiva incondizionatamente il suo passaggio nelle mani dei protestanti ad ogni candidatura degli Asburgo.5 Nonostante l’imparzialità mantenuta attentamente dal pontefice, Enrico temeva sempre che la Curia pencolasse dall’altra parte. Per impedirlo non venivano risparmiate nè rimostranze astute nè dichiarazioni offensive e minacciose. L’ambasciatore francese 1 Vedi la relazione di Ubaldini del 21 luglio 1609, ivi 65 s. 2 Vedi Hiltebrandt XV 336, 347, a cui spetta il merito di aver rilevato nettamente per primo questa circostanza. 3 Cfr. la relazione di Brèves in Briefen uncl ATcten II 573 s., 575 s., 585 s. editore, M. Hitteb, non si è accorto che le lettere erano già pubblicate in gran parte in Goujet I 262 s., 270 s. (nell’ultimo luogo è da leggere « 14 settembre » invece di « 14 agosto »). 4 Vedi Hiltebrandt XV 347, n. 1. 5 Vedi ivi 348.