Venezia lia fatto male i suoi conti. 135 aveva maturato conseguenze così perniciose, come se quelle armi fossero state adoperate nei tempi peggiori. La giurisdizione e la disciplina ecclesiastiche, la riverenza per il papa e per la Sede apostolica ne erano uscite, non senza pericolo per la religione cattolica, così danneggiate, che invece di un guadagno e di una restaurazione doveva registrarsi una non piccola perdita. Questa confessione suggerisce un confronto con Pio V; egli aveva avuto con Venezia difficoltà simili a quelle del suo successore,1 ma, nonostante tutto il suo zelo, non aveva saputo decidersi alle risoluzioni prese da Paolo V. Se Paolo V aveva sbagliato il conto, altrettanto deve dirsi di Venezia.2 Il senato credeva difendere in confronto del papa la causa di tutti i principi, e che pertanto tutte le potenze d’Europa dovessero schierarsi al suo fianco. Esso od il suo consigliere Sarpi in ciò s’ingannarono; la repubblica dovette finir per cedere alla pressione riunita di Spagna e Francia. Appunto col fatto dell’esser ricorsa ad artifici indecorosi per negare od attenuare le concessioni finali fatte al papa, essa medesima dette la miglior prova di aver ceduto solo perchè era stata costretta a cedere. Secondo quel che disse un oratore in senato, dapprincipio non si temettero le censure, anzi addirittura s’invocarono, pensando che, una volta non curate, la potenza di Venezia sarebbe stata consolidata per sempre.3 Ma, come osserva lo stesso oratore, la nostra repubblica è potente più di nome che di fatto;4 ed uno scritto contemporaneo opina che i Veneziani non avrebbero lasciato arrivare le cose fino ad una guerra, se il papa fosse ricorso sul serio alle armi.5 Il senatore Antonio Quirini, alla fine della sua storia dell’interdetto, trae da quanto era accaduto dodici insegnamenti.6 Era risultato che la repubblica comincia tutto con fervore, ma poi non dura; he guerre in cui entri la religione sono pericolosissime; che in ogni contesa il papa si trova in gran vantaggio. « Quarto, che nissuna cosa possi mettere in maggior pericolo la libertà pubblica, che il non haver buona intelligenza con il Pontefice, dottrina benissimo conosciuta da’nostri maggiori, i quali havevano sempre nella lingua, e molto più nel cuore, e nelle operazioni: non irritar il Turco, star bene con il Papa, premiar i buoni, castigar i cattivi, esser le quat- 1 Cfr. la presente opera vol. Vili 519. 'Anche il Ranke (II6 231) giudica: «In generale si vede bene, che i punti controversi furono regolati non così pienamente a vantaggio dei Vene- ziani, come generalmente viene sostenuto ». 5 « Le quali ragioni sono state di tanto peso presso di noi, che facevano desiderabili non che temute le minaccie delle censure credendo che sprezzate questa volta, fermassimo per sempre le cose nostre ». Presso Coknet 308. ‘Coenet 310. 6 Presso Nürnberger, Interdikt 510. "Presso Cornet 337-339.