Eccitazione del papa contro le pretese Veneziane. 91 le forze, fino alla effusione del suo sangue».1 Naturalmente faceva poca impressione sul papa, giurista sperimentato, che l’ambasciatore cercasse difendere di fronte a lui le leggi veneziane, che volesse giustificare il modo di procedere della Signoria contro il clero con privilegi papali, ch’egli non era in grado di mostrare,2 o scusasse l’azione dispotica della Signoria con l’affermazione esagerata che, se non s’impedivano le donazioni alla Chiesa, questa sarebbe presto in possesso di tutta la campagna fino alle mura della città: già adesso essere la proprietà fondiaria in sua mano per più di un quarto.3 Paolo Y insisteva che la repubblica revocasse le leggi contro la libertà della Chiesa e consegnasse per la punizione i due ecclesiastici colpevoli, se non ai loro vescovi, almeno a lui stesso; altrimenti egli avrebbe dovuto venire a decisioni che non sarebbero riuscite di gradimento dei Signori veneziani.4 Le stesse richieste furono sostenute senza successo presso la Signoria dal nunzio Orazio Mattei, poco esperto delle cose del mondo.5 Il Senato decise di non modificare le leggi e di non consegnare i due ecclesiastici.6 A questo punto Paolo V ritenne di dover effettuare le sue mi-naccie. Pochi anni avanti, l’interdetto gettato nel 1597 da Clemente Vili su Ferrara aveva ben avuto un rapido e completo successo.7 Anche altri Stati, come le repubbliche di Genova e Lucca, in simili questioni avevano finito per cedere.8 Paolo Y si aspet- 1 Cornet 3 SS. 2 Ivi 9 nota e 10 n. I. Ove questi privilegi esistono, «saranno corruttele, usurpationi et abusi, a i quali bisognerà in fine che S. Beatitudine proveda con sommo rigore» Borghese ad Offredi, in data 19 novembre 1605. Borghese I 908 f. 55 (59), Archivio segreto pontificio. 3 Cornet 8 nota. Lo storico potrebbe esser tentato a vedere in questi dati la prova di una grandiosa beneficenza persistente ancora nel secolo xvn. Ma uno scritto polemico del tempo osserva, che, ove in mille e duecento anni un quarto del possesso fondiario sia venuto in mano della Chiesa, « ora, che solo e rare volte si fa qualche legato pio, e si eregge qualche capella » in altri mille e duecento o anche diecimila anni ne passerebbe in possesso di quella tutt’al più un altro dodicesimo (Lelio Medici, Discorso sopra i fondamenti e le ragioni detti Signori Veneziani, Bologna 1606, 25). Nella lotta che ora s’inizia, insiste sulla ricchezza della Chiesa veneziana specialmente lo scritto polemico del senatore Quirini. Secondo lui le sostanze del clero veneziano ammontavano a 30 milioni di ducati (presso Goldast, Monarchia III 314). Gli fu risposto che queste erano esagerazioni, come sapeva tutta la cristianità; in Venezia il clero non possiede certo più che a Milano, in Sicilia, in Castiglia, ove pure non si ritenevano necessarie leggi come queste di Venezia (Bovio 39). 4 Cornet 2, 7, 11. 6 Sopra il Mattei, ivi 272 s. 6 Deliberazione del Senato del 3 novembre 1605, presso CAPASSO^pp. p. in s. Consulta del Sarpi in proposito, ivi p. vii s. 7 Cfr. la presente opera voi. XI 601. 8 Cfr. Barozzi-Berciiet I 67 s. La Lettera d. Repubblica di Genova alla Repubblica di Venezia, in data 1606 luglio 28, pubblicata in tempi recenti da L. Peirano (Genova 1868) è una falsificazione; vedi Riv. Europ. Y_ ( 1878) 690.