i5a contemplar questo quadro mi volsi al mercato dell’Erbe che i Veneziani chiamano in loro latino erberia. Chi si.trovasse in piedi a quell’ora e non desse almen che sia un’ occhiata a quel luogo farebbe torto al gusto de’suoi paesani, i quali in quella giterella mattutina trovano tutto il loro diletto, trovai la Merceria quasi deserta, e in tal condizione ella avea più sembianza d’un gran corridoio, che non d’una strada; solo di tempo in tempo mi veniva dinanzi qualche errante venditor d’acquavite o qualche facchino carico il dorso d’ erbe e di frutta, il quale aveva già corso il camminò che a me rimaneva ancora di compiere. Ma la mia attenzione fu tosto riscossa da un personaggio ben altrimenti misterioso, per verità in rozzi e poveri pauni, il quale con un paniere in capo, e certa sua particolare canzone, avea potere di mettere nel suo passaggio in convulsione e trambusto tutti i gatti della città. Lo udivan essi da lunge, e dagli usci, da’ balconi, da abbaini, da tetti, tendendo la coda,e fregandosi alle muraglie traevano fuori il capolino quelle care bestiuole, salutando in loro sermone quel generale provveditore della lor specie (*). — Ma eccomi finalmente al (*) Sono certi pescatori clie girano la mattina con ima qualità di vili pescialelli, eli cui per ordinario si ■introno i gatti.