290 in sede, consacrò gli altri tre vescovi eletti, ai quali non poteva contestare difetti canonici (1). Dal racconto del diacono Giovanni si deduce che il patriarca restò fedele all’ originaria opposizione, contro 1’ eletto torcellano per evidente tutela della propria dignità personale : ma tacitamente si adattò a riconoscere lo stato di fatto. Il dissidio, nonostante gli attivi negoziati, non fu composto che a mesi di distanza dal successore del patriarca Pietro, il vescovo Vittore, e non senza significative riserve (2). Il diniego dell’ uno, il riserbo dell’ altro dimostravano la tenace riluttanza dell’ autorità metropolitana a subire l’intervento dell’ autorità civile nell’ ambito della giurisdizione ecclesiastica. Tra governo civile e governo ecclesiastico tuttavia, tra duca e patriarca, era insinuato un motivo di discordia, destinato a non restare inerte. In questo incerto componimento, anche se non si può ravvisare l’origine della posteriore antitesi nei rapporti tra stato e chiesa, virtualmente sono anticipate le prospettive di profondo contrasto tra le due autorità in materia giurisdizionale, scaturito dalla natura delle cose più che dall’ insofferenza degli uomini. L’ episodio torcellano era chiaro riflesso dell’ opera di assetto interno. Dopo la nazionalizzazione del patriarcato sotto il duplice carattere territoriale e giurisdizionale, la fisionomia della chiesa indigena era ben definita. A essa era data una struttura più complessa e più efficace, quale del resto esigevano lo sviluppo politico (1) Iohan. Diao., Chronicon eit., p. 124 : deinde ad Oradensem urbem ;patriarcha reversus, tres electos episcopo# consecravit, id est Iohannem olivolensem et Leonem metamaucensem et Iohannem Civitatis nove. (2) Iohan. Diac., Chronicon cit., p. 125 : qui etiam Dominicum torcel-lensem electum contra voluntatem consecravit, quia in suae eleclionis die sacramento a principe constrictus est, ut qualem ipse illi electum dirigerei, talern ille consecraret. Questo episodio non depone in favore all’ asserto dell’ autore del catalogo grádense, che il patriarca Vittore II fosse figlio del duca Orso (Origo cit., p. 125), del resto non confermato neppure dalla Cronica de singulis patriarchis cit., p. 15. E però vengon meno le connesse presunte deduzioni di ipotetici intrecci famigliali, dai quali sarebbe scaturito il dissidio torcellano e il più vasto conflitto fra stato e chiesa. L’interesse individuale impallidisce e scompare di fronte a quello preponderante degli istituti (cfr. in contrario Rossi, Studi cit., p. 48 sgg. ; Montico lo, I manoscritti cit., p. 114 sgg. ; Kehr, Rom cit., p. 66 sg.).