Il Gran mogul Akbar ed il gesuita R. Aquaviva. 739 Un energico appoggio i missionari lo trovarono in Abul Fazil, il quale nella piena cognizione dell’assurdità del Corano scongiurò il suo signore, di accettare il cristianesimo, ciò che si raccomandava anche per motivi politici, poiché era l’unico mezzo, di introdurre nell’impero una religione, poiché gli indiani non accetterebbero mai la fede degli oppressori, i Maomettani. Già speravano i Missionari di esser prossimi alla loro meta, poiché Akbar dimostrava la più grande venerazione per la fede cristiana; egli venerava l’immagine della Madonna, che Aquaviva gli aveva portato in nome del papa, e portava un Ar/nns Dei al collo. Fu pure discusso il progetto di un’ambasceria a Filippo II ed a Gregorio XIII, ma la conversione del Gran mogul attesa in Roma con tensione1 non avvenne. Aquaviva attese paziente: in una relazione al suo provinciale sostenne il pensiero, che non si doveva rinunziare alla speranza di conquistare il « cuore dell’Indie » finché non fossero esauriti tutti i mezzi che stavano a disposizione. Ma Akbar nel suo contegno restò irrisoluto. Sebbene in fondo egli fosse un naturale portato alla religione, pure il suo orgoglio e la sua sfrenatezza morale formavano un ostacolo insormontabile all’accettazione della verità evangelica. Le numerose mogli del suo harem e sicuramente anche riguardi politici, impedirono che egli seguisse la via della grazia. Lo stesso Akbar avrebbe detto, che il cristianesimo era troppo puro, e i suoi costumi troppo corrotti. Pur tuttavia cercò di trattenere Aquaviva, allorché questi, appoggiato all’ordine di richiamo del suo provinciale, chiese di tornare a Goa. Solo dietro la promessa che egli tornerebbe, permise il Gran mogul il suo viaggio. Egli nell’accomiatarlo voleva dargli doni in oro e pietre preziose, ma Aquaviva li rifiutò alludendo al suo voto di povertà. Insistendo Akbar sulla concessione di un’altra grazia, Aquaviva chiese la liberazione di alcuni schiavi cristiani. Con questi, come l’unica conquista di una difficile missione di tre anni, ritornò Aquaviva nel maggio 1583 a Goa. I superiori lo inviarono ora nella penisola Salsette, dove doveva essergli concessa la corona del martire, già prima tanto spesso bramata; nel luglio 1583 egli assieme a quattro altri Gesuiti e venti cristiani fu ucciso dagli indigeni. Come nella Persecuzione della primitiva Chiesa cristiana il sangue dei martiri anche qui fu fecondo: già nel 1584 furono battezzati cinquanta catecumeni fra i quali uno dei più distinti bramini.2 1 Cfr. la * relazione di Odescalcbi in data di Roma 3 febbraio 1582, A r -chivio Gonzaga in Mantova. Il 18 febbraio 1582 Gregorio XIII diresse un breve ad Akbar e lo esortò «ne animi motum a Deo profectum (,(;liberationis tarditate prodat ». Sj/nopsis Ili». 2 Vedi Mìtllbaur 101 ; Grttber, Aquaviva 227 s., 245 s., 286. Ofr. anche *'- vc\ Les martyrs de Salsette, Bruges 1893. Una « Relatione del martirio di ^ Padri del Giestl fatto nell’Indie l’anno passato» Odescalchi il 6 ottobre 1584 inviò da Roma al duca di Mantova. Archivio Gonzaga in Manto v a.