10 stica, quale i contemporanei ammiravano nel tempio costantinopolitano : la struttura interna restava quale era venuta perfezionandosi in obbedienza al progresso e agli sforzi del pensiero indigeno. Il quale era e restava romana, pur conservando la propria originalità. Non per desiderio di imitazione, non per meditato studio, non per artificio, i Veneziani mantennero sì mirabile continuità, ma per naturale operare dell' animo. Fedeli alla primitiva educazione ricevuta, impressero alla vita un carattere di originalità conforme alle loro origini, in ogni manifestazione, dal diritto all’ arte e alla letteratura, dalla politica all’ economia. Lo spirito pratico veneziano, risoluto e sicuro di sè, calmo, sereno, freddo anche, se si vuole, tenace, non sgomento dal succedersi di disavventure, neppur orgoglioso per i miracoli di fortuna, si è formato a questo insegnamento: spirito sempre riflessivo, calcolatore, senza sacrificio dei sentimenti di entusiasmo e di nobile generosità ; spirito, che rifuggì da preconcetti schemi di teorie e di astrazioni, ma elevò la mente a sicura e geniale intuizione della realtà. Insomma diventò l’interprete schietto della virtù, che il bizzarro e astioso intelletto fiorentino di Nicolò Machiavelli, con tanta acrimonia e scarsa conoscenza della vita veneziana, negava alla Repubblica adriatica, solo perchè avversa alla sua terra natale. Se mai, proprio la sconfitta di Agnadello e il rovescio del 1509 stanno a dimostrare, che anche nelle più gravi contingenze i Veneziani seppero conservare misurato equilibrio, come lo avevano conservato di fronte a eventi fortunati e felici. Il rimprovero machiavellico è ingiusto e grossolano, neppure consono al fine senso politico e al cuore squisitamente italiano dello storico fiorentino. Non ebbrezza baldanzosa e sfacciata nella vittoria, nè umile abbandono nella disgrazia. Facendo appello con ogni energia, senza alcuna viltà, proprio a quella virtù romana, che i pensatori fiorentini vollero misconoscere, Venezia risorse dalla catastrofe inflitta dalle armi straniere di tutte le nazioni europee, coalizzate ai suoi danni, agli albori del secolo XVI. A viso aperto, con nobiltà di mente e con generosità di sentimento e non con miserabili intrighi o con ingannatrici menzogne, piegò V animo inquieto e riottoso di un papa nemico, Giulio II, e lo riconciliò con l’interesse nazionale. Questa era ed è veramente virtù romana, non appresa nella scuola, ma nella vigorosa palestra dell’ azione, traverso vicende liete e ore penose, affrontate con lealtà e fierezza nella buona e nell’ avversa fortuna.