Ignazio e la cura dello spirito dei suoi discepoli. 389 Con altrettanto grande risolutezza il fondatore dell’Ordine seppe tener lontano da’ suoi figli spirituali la mira a dignità ecclesiastiche. Nel 1546 re Ferdinando I desiderava ardentemente d’avere Le Jay vescovo a Trieste. Ignazio supplicò il re a rinunziare al suo progetto e Ferdinando invece a pretendere che Paolo III dovesse comandare in virtù di santa obbedienza al Le Jay di accettare la dignità. L’inviato romano di Ferdinando ricevette l’istruzione di mettere in moto tutte le leve. Come notificò egli in Ispagna, Ignazio allora pose « incredibile diligenza » per impedire la nomina e riuscì a tirare in lungo la cosa fino a che il re dichiarò di non persistere più nella sua volontà. Ignazio fece celebrare Messe di ringraziamento e Te Deum.1 Quanto i suoi discepoli tendessero alla perfezione cristiana, all’unione con Dio per mezzo dell’amore, il maestro calcolava non dai loro sembianti, neppure dalla più o meno buona indole o dalla dolcezza che provavano nell’orazione, ma dallo sforzo che mettevano nel frenare le loro disordinate inclinazioni.2 « Vinciti ! », era la sua sentenza preferita. Ben lontano dal volere deprezzare l’ascetica corporale, egli considerava « utili e date certe circostanze, necessarii i digiuni, le flagellazioni, i cilici», ma per lui valeva più vincere l’ambizione e l’ostinatezza.3 Più che tutto egli voleva obbedienza, ma non forzata, servile, sibbene obbedienza volenterosa, magnanima. Di tempo in tempo egli istituiva una prova. Così avvenne al principio del 1548 quando doveva erigersi il collegio a Messina. Tutti della casa dovettero dichiarare per iscritto, se fossero pronti a recarsi colà e intendessero assumere là qualsiasi officio a seconda del beneplacito del superiore. Canisio protestò che era egualmente disposto a rimanere sempre in Roma od a recarsi in Sicilia, in India o in qualsiasi altro luogo; qualora dovesse andare in Sicilia, esser pronto a (diventare là cuoco, giardiniere, portinaio, scolaro o maestro in qualunque si fosse materia. In modo perfettamente simile risposero tutti i 35, che erano con lui.4 Al fine di esercitare i suoi figli nell’umiltà, più d’una volta Ignazio fece biasimare dal pulpito del refettorio negligenze ed altre mancanze a mezzo del fratello laico Antonio Rion, uomo di molto bassa origine, che s’intendeva di cucina e insieme aveva il dono 1 Ignazio a Ferdinando I da Roma dicembre 1546: Ferron a Torres da Roma 2 marzo 1547 (Mon. Ignat. Ser. I, I, 450-453, 460-467); Ive Jay a Ignazio da Venezia 25 settembre 1546 e Cardinal Pio di Carpi a Ferdinando I da Roma 4 dicembre 1546 ( Epist. P. Pasch. Broew 314-332, 392-393). 2 Ribadeneika, De actis etc. n. 64 e Vita lib. 5, c. 10. Gfr. il libro degli Esercizi, seconda settimana : istruzione per l!a riforma della propria vita. 3 Ribadeneika, De ratione S. Ignatii in gubemando c. 2, n. 4, 5 (Mon. Ignat. Ser. IV, I, 447) ; Ignazio al collegio di Coimbra da Roma 7 maggio 1547 'ibid. Ser. I, I, 507). 4 Bsaitnsbebgee I, 262-263.