744 Paolo III. 1534-1549. Capitolo 15 e. portasse barba, che apparisse troppo giovane e lasciasse a desiderare in fatto di maestà. I criteri però erano in minoranza. Come fautore in particolare dell’affresco è nominato il Cardinal Cornaro, il quale disse, che ove Michelangelo dipingesse per lui una sola delle molte figure, gli pagherebbe quel prezzo che meglio volesse. Cornaro occupò subito un pittore per avere una copia fedele dell’affresco. 1 Anche il cardinale Gonzaga fece tosto dei passi per averne una riproduzione. Semini rivolse l’attenzione del suo signore su un giovane artista mantovano privo di mezzi, a nome Marcello Venusti, siccome quegli che fosse il migliore tra i molti che copiavano raffresco.2 Anche dal cardinale Alessandro Farnese, che aveva buon gusto per l’arte, Venusti ebbe più tardi l’incarico di dipingere una copia.3 A quest’opera, ora nel Museo di Napoli, risalgono la maggior parte delle riproduzioni rimpicciolite del Giudizio universale, che ben presto venne reso accessibile miei più estesi circoli mediante incisioni in rame.4 Queste stampe come la copia del Venusti hanno speciale importanza per la ragione che rappresentano l’affresco di Michelangelo nella sua forma originale prima che venisse sopradipinto e guastato come gli toccò in seguito. Veramente finché visse Paolo III nessuno potè metter le mani sull’opera. Quanto poco 'il papa Farnese partecipasse alle osservazioni elevate in contrario, risulta dal fatto, che nell’ottobre del 1543 collocò uno speciale sorvegliante per la conservazione delle pitture della Sistina, della Sala Regia e della Cappella Paolina. Ebbe questo ufficio collo stipendio mensile di sei ducati 'il bravo Francesco Amatori. Egli, come si legge nel documento, doveva proteggere dalla polvere e da qualsiasi danneggiamento tutti i magnifici affreschi, che la Sede apostolica aveva fatto eseguire con grandi spese, e liberarli anche dal fumo dei ceri, che solevano accendersi nelle due cappelle durante le funzioni.5 Non tacque però l’opposizione contro il fresco di Michelangelo e dev’essere stata piuttosto forte, perchè nel novembre del 1545 l’Aretino, il quale possedeva un organo molto fine per la corrente dominante, ardì darle espressione nel modo più forte e offensivo. Non v’era forse in Italia alcuno, 1 V. il testo di questa importante * lettera in App. n. 44 (Arcliiy io Gonzaga in Mantova). Coirne quella del 4 dicembre essa finora è sfuggita a tutti gii studiosi per la ragione che per isbaglio è messa tra la corrispondenza di Paolo V. Una critica molto laconica dell’affresco nell’anno 1544 in Arch. stor. Ital. 3 Serie XII, 280-281. 2 V. in App. n. 46 la * lettera di N. Semini del 4 dicembre 1541. A r-chivio Gonzaga in Mantova. 3 Vedi Bertolotti, S'peserie 211 ; cfr. Lanciani, Soavi II, 160 ;■ Vasari VII* 575 ; Noliiac in Studi e cioè. V, 251. Sulla copia dei « peccati capitali » fatta da Vasabi vedi Katj.ab, Vasaristndien 72. * Vedi Steinmann II, 517 s. ; Thode V, 17 ss. « Pogatscheb presso Steinmann II, 757.