Attacchi al Giudizio universale. 745 che a fare il custode della moralità fosse meno acconcio di quest’uomo, la cui vita scandalosa corrispondeva ai suoi scritti senza pudore. Anche nell’aprile del 1544 in una lettera, con cui chiese a Michelangelo dei disegni, l’Aretino aveva assicurato, che la vista d’una riproduzione del Giudizio universale l’aveva toccato fino a lagrimare di commozione.1 Allorché Michelangelo non soddisfece alle ulteriori noiose domande dell’importuno letterato, costui, la cui vanità era stata già gravemente ferita per l’incidente del 1537, pensò a trarne vendetta. Egli se la prese con una infame invettiva, nella quale fingendo morale indignazione per l’offesa recata al pudore dalle rappresentazioni di Michelangelo, negava al Maestro pietà e religione.2 A questo attacco Michelangelo oppose quel silenzio del disprezzo, che è l’arma migliore in tali casi. Paolo III era più che mai alieno dal soddisfare all’invito del-l’Aretino, il quale suggerivagli di prendere misure come [Gregorio Magno contro le statue pagane. In altri circoli invece le istigazioni dell’Aretino3 trovarono volenteroso ascolto. Nella « lettera aperta », opera di un protestante italiano, si rimprovera la Paolo III che abbia fatto dipingere in una cappella pontificia una pittura, la quale meglio si conveniva a una bettola.4 Lo stesso biasimo ritorna in un sonetto satirico italiano, il cui sucido contenuto risponde a questa lettera.5 I nemici del papa Farnese sapevano perchè sceglievano questo punto d’attacco: il giudizio generale sull’impiego di figure svestite nel campo dell’arte cominciava a diventare più severo. Da Firenze nella primavera del 1549 ci viene narrato d’una opposizione contro le statue di Adamo e d’Eva del Bandinelli fuor di dubbio sconvenienti in una chiesa, elevandosi in tale occasione i più forti biasimi contro Michelangelo siccome l’inventore di rappresentazioni sconvenienti. Parlavasi di pittori e scultori, i quali avrebbero avuto capricci luterani, d’opere d’arte, le quali sotterravano la fede e la pietà.6 Nel dialogo sull’arte, composto nel 1557 da Lodovico Dolce per glorificare il Tiziano, e sul quale esercitò la sua influenza l’Aretino, vennero fortemente biasimati, relativamente al Giudizio universale nella cappella Sistina, il ruvido trattamento delle figure di donne \e il generale abbandono del vestiario delle figure come la loro monotonia.7 1 Vedi Bottari, Lettere III, 114 ; Gttiil I, 149. 2 Vedi Gaye II, 332 s. ; Guni, I, 150. 3 V. la lettera dei: 1547 presso Bottari III, 152 ; cfr. Gaspary II, 478, 680. 4 Vedi Canti; II, 61 ; cfr. sopra p. 679. 5 ** Sonetto « Giuditio di Michel Angelo Fiorentino» fra i Pasquilli in Coti. Ottob. 2811, f. 73 della Biblioteca Vaticana. 6 Vedi Cantò II, 280 ; Gate II, 500 ; Tacchi Venturi I, 183 ; Riv. hibliogr. XVII, 89. 7 Ofr. Platner II 1, 276 ; Gaspary II, 468.