396 Paolo III. 1534-1549. Capitolo 7. bidienza cosciente, volontaria e lieta: insieme i sudditi debbono fare della « volontà e giudizio del superiore la norma della loro volontà e giudizio».1 In questo senso debbono praticare un’« obbedienza cieca»,2 cieca non per ciò che è comandato, ma per le vane illusioni, per le fallacie dell’albagia, della pusillanimità e della sensibilità. Se già san Basilio aveva comparato nelle sue regole monastiche l’obbediente coll’istrumento del falegname,3 Ignazio lo paragonò col bastone del vecchio, nè dimenticò di ripetere almeno con poche parole il paragone svolto sì diffusamente da san Francesco d’Assisi ai suoi discepoli,4 il paragone del perfetto obbediente con un corpo inanimato.5 Onde raggiungere questa perfezione, noi, così esorta Ignazio, dobbiamo « avere dinanzi agli occhi Dio nostro creatore e Signore, per amore del quale si presta obbedienza a un uomo», «considerare il superiore chiunque si sia come rappresentante di Cristo » e perciò obbedire senza ritardo alla voce del superiore così «come venisse dalla bocca di Cristo».6 Insieme però nelle Costituzioni si accorda ripetutamente al suddito il diritto di fare controsservazioni al superiore : soltanto egli in precedenza deve ponderarle nella preghiera ed esser pronto a fare e ritenere per il meglio ciò che in conclusione ordina il superiore.T Ignazio inoltre si appropria la prescrizione delle costituzioni domenicane, 8 che, prescindendo dai voti monastici, gli statuti del- 1 Ibid. P. 3, c. 1, n. 23. 2 La versione ha «cacca quadiam obedienti’a », lo scritto originale spagnolo semplicemente «con obedientia ciega » (P. 6, c. 1, n. 1). A conferma di questa dottrina della « obbedienza cieca » Francesco Suabez adduce molte sentenze di Padri e dottori delH’antichità cristiana e del medilo evo e conclude : « evidentemente Ignazio ha tolto la sua dottrina da essi o almeno ha parlato nello stesso spirito di essi» (Traciatu» de religione Socictatis Ietu !ib. 4, c. 15, n. 4-11 ; Opera, ed. Cab. Berton XVI, Parisils 1866, 778-782). Cfr. anche Duhr, Jesuitenfabeln* 531-533; Heimbucther IIP, 27; Heiner, Die Jemiten, München 1906, 40-46. 3 Constitutiones monasticae c. 22, n. 5 (Migne, Patr. gr. XXXI, 1409). 4 S. Bonaventura, Legenda (maior) 8. Franeisei c. 6 (Seraphici Doctoris S. Bonaventurae legendär dune de vita S. Franeisei Seraphici, Ad Claras Aquas 1898, 60). « Constitutiones P. 6, c. 1, n. 1. e Ibid. P. 6, c. 1, n. 1 ; P. 3, c„ 1, n. 23. Cosi aveva già insegnato san Benedetto: Obedientia, quae maioribu's praebetur, Deo exhibetur; ipse enim dixit: Qui vos audit, me audit [Lue. 10, 16] (Regula Saneti Patris ISenedieti c. 5, ed Edm. Schmidt O. S. B., Raitisbonae 1892, 27-28). I monaci obbedienti vengono dipinti anche da Benedetto siccome voluntatem propriam deferente», ambulantes alieno iudicio et imperio (ibid. 26-27). 7 Examen c. 8 A ; Constitutiones P. 3, c. 2, n. 1 ; P. 5, c. 4 F ; P. 7, e. 2 J. 8 « Volumus et deelaramus, ut Constitutiones nostrae non obligent nos ad culpam, sed ad penam, nisii propter praeceptuni vel contemptum » (Constitutione» ordini» Pracdicatorum, Prologus, recensione di san Raimondo di Pe-nafort, edita dal P. Heinr. Denifle in Archiv, für Literatur-und Kirehengescli-des Mittelalters V, 534).