Paolo IÌÌ. Ì534-Ì549. Capitolo Ì2. Lo scrupoloso cardinale Cervini rimise sul tappeto la questione della traslazione quando il Cardinal Farnese in qualità di legato passò per il Tirolo colle truppe ausiliarde pontifìcie. L’essere Farnese caduto infermo a Rovereto diede occasione al Cervini di trattare minutamente la questione col nepote. Come comunicò a Camillo Capilupi il cardinale Ercole Gonzaga, Cervini espose così vivamente al legato il pericolo dell’alto grado con cui nella guerra vicina e nel concilio l’imperatore diverrebbe padrone, che il nepote venne conquistato a favore del progetto d’una traslazione del concilio e riferì in tal senso a Roma.1 Pare che là si sperasse, che Carlo si lascierebbe indurre ad acconsentire alla traslazione, ma invece non era il caso di pensarvi. Onde sostenere la propria politica l’imperatore perseverò nella sua pretesa, che il sinodo dovesse condurre un’esistenza apparente. Che il papa non credesse di potere aderirvi, la è cosa molto comprensibile. Era pretendere cosa indegna e impossibile, che i padri del concilio dovessero prendere come norma il corso delle cose strascinantesi in Germania e consumare inattivi tempo e denaro a Trento fino a che fosse tratto il dado nella guerra Schmalkaldica.2 Poiché il Cardinal Cervini se ne stava a Rovereto presso l’infermo Farnese e fin dal 28 giugno Pole erasi recato a Padova per ristabilire l’attaccata sua salute,3 il cardinale del Monte era l’unico presidente del concilio. La sua posizione prese una piega tutt’altro che invidiabile. In considerazione della opposizione del papa a qualsivoglia proroga delle sedute, nella congregazione generale del 28 luglio egli aveva proposto di tenere la sessione e di pubblicare in essa il decreto dogmatico in tanto in quanto era già fissato. Pacheco invece con approvazione quasi universale chiese la proroga della sessione e per giunta, contro il parere di del Monte, senza che si indicasse un giorno determinato. Contro Pacheco gli arcivescovi di Corfù e Matera, Cauco e Saraceni, si dichiararono per la traslazione del concilio, osservando il primo, che rimanere a Trento nelle condizioni del momento era nuli’altro che tentare Iddio ed esporre Tin- che il papa permetteva la traslazione, ma soltanto in caso di necessità e se realmente apparisse impossibile continuare il concilio a Trento : qualora si dovesse tardare troppo a lungo prima ch’egli stesso potesse rappresentare all’imperatore il necessario in proposito, essere conveniente mandare dall’imperatore con tale missione un distinto prelato del concilio. Come luoghi acconci dovevano proporsi all’imperatore Ferrara o Lucca (ibid. IX, 141 s.). 1 Cfr. la » lettera del Cardinal E. Gonzaga a C. Capilupi del 13 agosto 1540. Coi. Ha ri). Int. 5193, f. 15Tb della Biblioteca Vaticana. 2 Cfr. Ehses in Ròm, Quartalsclir. XIX, 182. 3 lirando in lungo la sua malattia, iti Pole venne esonerato dalla legazione e chiamato a Eoma il 27 ottobre 1546 (Pallavicini lib. 8, c .7). È f"01" di dubbio che allora e anche più tardi Pole fu realmente molto sofferente avendogli molto nociuto il clima di Trento (vedi Reumont in Theol. Litera-turblatt 1870, 997).