Sepolcri dei cardinali in Uoma. ■ra dato dal monumento di Eugenio IV d’Isaia da Pisa. Per quanto differiscano fra di loro le iscrizioni classiche e le teste dei morti piene di espressione, pure il tipo dei monumenti è quasi ovunque il medesimo. Sono monumenti a pareti e nicchie. Il disegno architetto-ideo mostra le pure forme di nobile primo rinascimento. Nella nic- • hia, ornato dei suoi paludamenti ecclesiastici, in atteggiamento di dormire, il morto riposa sopra un alto sarcofago riccamente decorato; a destra e a .sinistra in parte pilastri bellamente ornati di foglie, fiori e viticci e in parte statue di santi in piccole nicchie; la parte superiore termina in trabeazione piana o in semicerchio. Nello spazio libero tra l’architrave e la figura del morto trovasi quasi normalmente un rilievo della Beatissima Vergine, la potente avvocata nell'ora della morte, e ad ognuno dei suoi lati la figura soave di un angelo o quella di un santo. Nel piedistallo, circondata da putti piangenti o da scudi colle armi del morto, leggesi la pomposa, spesso vanitosa iscrizione, che dice l’origine, le gesta e i meriti del defunto, alla quale spesso si aggiunge un detto concettoso sul sarcofago. 11 nome del pontefice sotto il quale il personaggio morì o ricevette la dignità cardinalizia, viene per lo più rilevato con lettere speciali. Di questo genere sono le tombe di Cristoforo della Rovere e di Giorgio Costa in S. Maria del Popolo, chiesa che contiene a preferenza delle altre l’immagine più perfetta della scultura sepolcrale del Quattrocento in Roma, i monumenti di Pietro Riario ai SS. Apostoli, del Forteguerri in S. Cecilia e di Auxias de Podio in S. Sabina. Nel monumento del Cardinal Roverella in S. Clemente il sarcofago è collocato in una nicchia semicircolare, a guisa di abside: al disopra della Madonna, alla quale il principe degli Apostoli raccomanda il cardinale che sta inginocchiato, vedesi il Padre Eterno circondato da Angeli. Questo tipo è stato molto probabilmente usato solo per membri del sacro Collegio. Fu fatta eccezione solo per l’influente Pietro Rocca, arcivescovo di Salerno (f 1482), la cui magnifica tomba forma oggi l’ornamento della sagrestia di S. Maria del Popolo, e per il tesoriere di Sisto IV, Miliaduea Cieada, che riposa a S. Giovanni de’ Genovesi in Trastevere. Fa meraviglia come nessuno di questi importanti monumenti proceda da un unico artista. I quattro più grandi maestri, il fiorentino Mino da Fiesole, i lombardi Andrea Pregno e Luigi Capponi, lilialmente il dalmata Giovanni di Trau (Dalmata) lavorarono per lo più insieme non a vantaggio dell’effetto risultante dall’unità artistica dell’opera. Mino, che lavorò in Roma per quasi tutto il tempo del pontificato di Sisto IV ( 1471-14SI faceva le graziose Madonne, il Pregno gli angeli e i santi; da quest’ultimo sembra per lo più dipendere completamente il Capponi, mentre Giovanni Dalmata, che lavorò in Roma dal 14fi0 al 1480, conosciuto per « i suoi panneggiamenti spiegazzati e agitati e per il suo forte altorilievo », superava tutti i sunnominati, e talvolta anche Mino. Il Pregno lavorò per lo