Lutero si rifiuta di fare qualsiasi ritrattazione. 243 decise dalla Chiesa ». In un’altra lettera, del 18 ottobre,1 Lutero dichiarò che, col lungo e gravoso viaggio e colla sua comparsa davanti ul legato avendo addimostrato a sufficienza la sua obbedienza e, quando pubblicò le « risoluzioni », avendo dichiarato la sua sottomissione al futuro giudizio della Santa Sede, un soggiorno più prolungato ad Augsburg era ormai inutile e di peso a lui non che ai ( armelitani, presso i quali abitava ; che oltracciò il cardinale irli aveva comandato di non comparirgli più in presenza qualvolta non volesse ritrattarsi, su che egli s’era aperto nella lettera precedente: egli pertanto ora se n’andrebbe. Indi annunzia raccomandatogli da persone a lui superiori l’appello dal legato e « dal papa male informato al papa meglio informato ». Egli non ha da temere censure che non meritò, sebbene colla grazia di Dio si trovi in tale condizione d’animo da temere le censure molto meno degli errori e delle false opinioni, sapendo che la censura non reca danno, ma giova quando si abbia dalla sua fede sana ed il senso della verità. Due giorni dopo, nella notte dal 20 al 21 ottobre, Lutero, che lo Staupitz aveva sciolto dalla regola e dall’obbedienza, fuggì di soppiatto da Augsburg; il 31 rientrava a Wittenberg. Nel viaggio aveva avuto notizia del breve papale 23 agosto al Caetano, di cui lo Spalatino aveva saputo procurarsi copia per vie tortuose. * L’atto dell’appello annunciato nell’ultima lettera, che Lutero tino dal 16 ottobre fece mettere a protocollo davanti a notaio e testimonii e dopo la sua partenza fece pubblicamente affiggere al duomo di Augsburg e rimettere al cardinale, è sostanzialmente del seguente tenore: « In materia d’indulgenze, come sul modo con cui possono applicarsi ai defunti, ci sono molte cose ancora incerte e indecise e quindi una disputa in proposito è lecita e lodevole. Io l’avevo intrapresa, mosso dall’esagerato rumore dei predicatori dell’indulgenza, i quali sotto questo pretesto avevano esercitato scandalosa ed inaudita avarizia, e grande vergogna e dileggio della ' hiesa romana, della podestà delle chiavi e della Sede Apostolica. Egli aveva però sottomesso le sue tesi non solo al giudizio della f'hiesa, ma anche all’intelletto d’ognuno, che più sappia e comprenda, anzitutto poi al santissimo padre e signore, l’attuale papa Leone X. Ciononostante egli da alcuni servi di .Mammone e ventri avari, che cercavano soltanto il latte e la lana delle pecorelle di 1 risto, era stato reso odiato ed infamato quasi che avesse compiuto qualche cosa a vergogna, diminuzione e disdoro della podestà della Chiesa e delle chiavi. Per importanti motivi egli non aveva eseguito la citazione a comparire personalmente in Poma, 1 De Wette I, 163-163 ; Enders I, 266 s. Cfr. Eiffel I, 109 s. ; IIefele-Hergenröther IX, 80. * Kalkoff, Forschungen 11 s.