Gli improvvisatori e buffoni alla Corto di Leone X. 331 Brandolini, concittadino di Leone X, n'avea goduto il favore ancor prima dell’elezione a pontefice; dopo gli fu assegnata un’abitazione in Vaticano e fu così preferito che lo chiamavano la pupilla di Sua Santità. ; soprannome strano poiché Brandolini era cieco. Abilità ancor maggiore nel vestire su due piedi in eleganti versi latini anche la cosa più diffìcilmente trattabile, possedeva il bresciano Marone, la cui figura Raffaello avrebbe immortalata nel suo suonatore di tnolino.1 Felicissimamente egli sapeva accrescere l’impressione delle sue improvvisazioni accompagnandole con liuto o viola e mimica vivace. I versi, che gli scaturivano abbondanti dalla bocca, guadagnavano continuamente in forza e ricchezza di pensieri, sicché gli uditori n’erano addirittura trascinati.2 Fama particolare raggiunsero i versi improvvisati sulla questione turca, che allora più di tutto interessava gli animi, e da lui recitati nel 1517 in un banchetto dato dal papa agli ambasciatori. Giovio ci ha tramandato l’inizio di questa improvvisazione, di cui il papa ricompensò il poeta largendogli un benefizio nell’arcivescovado di Capua. Talvolta in giorni di festa Leone X istituiva una vera gara tra i suoi improvvisatori su un tema da lui proposto. Una volta — era la festa dei Ss. Cosma e Damiano patroni della famiglia Medici — si misurarono Brandolini e Marone. Il papa, che soleva sottoporre a rigorosa critica il contenuto, la lmgua e la prosodia, dovette in quest’occasione aggiudicare il premio a Marone. * Con questi lieti spassi s’alternava alla tavola papale la trattazione di argomenti severi, sia eruditi che religiosi, poiché Leone si diede sempre cura di accrescere le sue cognizioni, di approfondire la sua cultura. * Rimase però a sufficienza figlio del suo tempo per trovare sommo contento anche negli scherzi triviali dei buffoni di professione. 5 Se non fosse attestato dai migliori tra i contemporanei sembrerebbe incredibile il carnevale che si faceva con essi. Alla medesima tavola, in cui erano convitati cardinali, ambasciatori, poeti e artisti potevano esercitare il loro brutto e stolto mestiere buffoni, semifatui poeti e simili scrocconi. Personalmente tempe- 1 Passavant 1, 299 ; II, 335. ! Iovius, Elogisi LXXII. Cfr. Ambeos III, 490. ’Vedi Fogliazzi, lì. Brandolini Dialogai, Venetiis 1753, 48. 4 Matiiaeus-IIerculanus appo Fabbonito 296. Per quanto appaia strana, questa mescolanza era allora usuale. Cfr. ciò che notano Luzio-Renier nel Giorn. d. lelt. Ital. XXXV, 243 sul miscuglio di giocondità e di serietà in Isabella d’Este. ‘Col Burckhardt I7, 170 s. cfr. in generale la pregevole monografia di Luzio, Buffoni, nani e schiari dei Gonzaga, Roma 1891; Gabotto 15 ss., 23 ss., 45 ss.; Giorn. d. lett. Ital. XXIV, 446 (intorno al libro del Rodocanachi) e la letteratura speciale citata a p. 382, n. 3. Da Sanudo XXVI, 19 appare quanto si considerasse indispensabile alle feste il buffone.