Ambasciata del re di Portogallo per l’obbedienza. 49 aiutare il re nella sua crociata contro i Mori di Affrica. A capo ■della missione stava Tristan d’Acunha noto per i suoi viaggi di scoperta : accompagnavanlo due famosi giuristi, Diego Pacheco e Giovanni de Faria, numerosi membri della nobiltà portoghese, parecchi neri ed indiani, in tutto 70 persone. Sensazione ancor maggiore che non questa splendida e caratteristica cavalcata eccitarono i rari e sfarzosi doni che l’ambasciata portava al papa come testimoni viventi della vittoria sugli infedeli : cavalli persiani, galline indiane, pappagalli, una giovane pantera, due leopardi ed un elefante bianco, che i curiosi Romani non potevano saziarsi di vedere. Un moro riccamente vestito cavalcava questa enorme bestia, la quale sulla schiena vestita d’una coperta ricamata portava un cofano coronato da una fortezza d’argento con molte torri. Il cofano conteneva parecchi altri doni per Leone X: paramenti per messe ornati d’oro e di pietre preziose, ostensori e calici d’oro finissimo, una magnifica coperta d’altare e libri preziosi. L’elefante seguiva la voce della sua guida ed allorché giunse a Castel S. Angelo, dalla cui cima il papa osservava l’inusitato spettacolo, l’animale fermossi e per tre volte prostrassi davanti a Sua Santità. 11 giubilo del popolo raggiunse il colmo quando l’elefante spruzzò i curiosi spettatori con parte dell’acqua che gli venne data. In seguito l’elefante formò oggetto dei discorsi della città : dei poeti lo cantarono 1 e perfino il freddo maestro delle cerimonie Paride de Grassis di lui si occupa a lungo nei suoi appunti. Quel molto fortunato animale, il quale compì i più svariati scherzi, ebbe uno speciale sorvegliante nella persona di Giovan Battista Branconi, amico di Raffaello e nientemeno che al celebre urbinate, morto l’elefante, toccò l’incarico di eseguirne l’effigie in una torre del Vaticano. Questa pittura andò perduta nelle ricostruzioni di Paolo V, ma sulla porta, che dalla stanza della Segnatura conduce a quella dell’Eliodoro, s’è invece conservato un fine lavoro d’intarsio rappresentante l’elefante, che porta il poeta Baraballo. L’effigie dell’animale non più visto in Roma dall’età imperiale in poi, fu perpetuata eziandio con incisioni in legno. ! 1 Così per es. F. Beroaldo, v. Paquier, Vita 35 ed Aurelio Sereno in Tizio, * Hist. fienen. nel Cori. G. II, 37 fol. 287\ 293 della C h i g i a n a. 2 L’elefante di Leone X può offrire una letteratura non insignificante, fra la quale io rilevo : lettera di Sadoleto presso Roscoe-Bossi VI. 197 s.; Osorius, De reb. Km/m. regis Lusit. IX, 263; Epist. obsmr. t ir. ed. Boecking 262: Tizio, *HUt. Senen. in ('od. G. II, 37, fol. 285b ss. della B i b 1. Chigi in Roma, ove trovasi una silografia contemporanea rapprewentante l’elefante. La morte dell’elefante (iscrizione presso Reumont III. 2, 857) fu ritenuta dai contemporanei abbastanza importante per darne nota: * Lundi XV! J uin 1530 mourut l depliant ». ‘Diario nel Cod. liarb. hit. 3552, fol. 27 (B ibi. \ a t i c a n a). Cfr. Sa-hudo XXII, 475. Spicil. Vai. I, 22. Burckhardt lì7, 290 s. V. Rossi nell’/«-ter mezzo, Torino 1890, 632 ss.; Cesareo in Nuova Rassegna, 1894, I, 133 s. Un ricordo finora non considerato dell’elefante trovasi nella A illa Madama, dove Pasto«, Storia dei Papi. IV, 1. 4