19 natura, ricostruirono l’esistenza e depositarono il ricco patrimonio spirituale, che recavano seco fuggendo l’ira barbarica (1). 2. — La leggenda, o meglio le leggende, non si preoccuparono di sconcordanze. Par quasi avessero in uggia la realtà storica, troppo povera di poesia o priva di quella nobiltà di tradizione, di cui, più i tempi avanzavano, e più si sentiva insopprimibile bisogno. Il racconto del trapasso dalla terraferma alle isole dal giorno, in cui nuovi barbari, i Longobardi, posero piede in Italia, muovendo proprio dalle estreme regioni venete, e si fissarono stabilmente, annotato dagli annalisti dei sec. IX e X (2), sembrava troppo povero. La conquista longobarda, metodicamente svolta, non aveva compiuto gesta eroiche: nessuna aureola di martirio scendeva sopra la memoria dei pionieri della recente colonizzazione. Agli uomini dei sec. IX e X, prossimi agli avvenimenti, non faceva ancora difetto il senso della realtà storica : l’urgente interesse di rivendicare la presunta originaria autonomia politica incalzava alla ricerca di documento positivo. Il ricordo tuttavia di precedenti tappe non era perduto. Le anteriori spedizioni barbariche in Italia, da Alarico ad Attila, forse per le diverse conseguenze prodotte, avevano tramandato notizie confuse, come furono raccolte da Costantino Porfirogenito (3), prima che l’esegesi letteraria chiarisse e sviluppasse la trama della leggenda e ne precisasse i caratteri. Nella tradizione indigena, in confronto delle gesta alariciane, che meno avevano impressionato (1) Si veda sopratutto il cosi detto Chronicon Gradente, frammento di più ampio racconto delle origini veneziane. Cfr. Origo civitatum Italiae seu Venetiarum, ed. R. Cessi, in « Fonti della Storia d’Italia del R. Istituto Storico Italiano », n. 73, Roma, 1933, p. 30 sgg. Cfr. ivi, p. 51 sgg. (2) Cosi il diacono Giovanni sul suo Chronicon, ed. Montioolo, in « Fonti della Storia d’Italia del R. Istituto Storico Italiano », Roma, 1890, p. 63 sgg., il quale per questo primo periodo attinge a più antichi Annales Venetici, che più avvicinano al momento dell’invasione. Cfr. Monticolo, I manoscritti e le fonti della cronaca del Diacono Giovanni, in « Bollettino dell’ Istituto Storico Italiano », n. 9, pag. 141 sgg. (3) In Costantino Porfirogenito (De adm. imp., ed. cit., c. 28) sono insieme confuse e mescolate le vicende della spedizione di Attila con quella di Alarico, attribuendo a esse un valore decisivo sopra l’immigrazione veneta nella laguna, in terre deserte e abbandonate.