838 Libro III. Giulio li. 1503-1513. Capitolo 7. Incoraggiato dai buoni successi fin qui conseguiti il papa de-cise di mettere la scure alle radici delle mene scismatiche della Francia. Si esaminò bene se non fosse il caso di procedere contro la prammatica sanzione. L’abolizione di questa legge, che Luigi XII aveva rimessa in vigore, era infatti cosa urgentissima, se l’unità ecclesiastica doveva riportare un trionfo duraturo contro le tendenze scismatiche.1 La quarta sessione del concilio, alla quale parteciparono 19 cardinali, 96 fra patriarchi, arcivescovi e vescovi, 4 abati e 4 generali di Ordini religiosi, non che gli ambasciatori dell’imperatore, del re di Spagna, dei Fiorentini e della confederazione svizzera, si tenne il 10 dicembre, anche questa volta sotto la presidenza del papa. In essa venne letta innanzi tutto la lettera credenziale dell’ambasciatore veneto Francesco Foscari del 10 aprile 1512 e quindi lo scritto di Luigi XI del 27 novembre 14612 sulla abolizione della prammatica. Dopo ciò fu pubblicato un monitorio, col quale il clero e il laicato francese erano citati a comparire al concilio entro sessanta giorni per rispondere della loro adesione alla prammatica sanzione. Trascorso questo termine, nella quinta sessione del concilio, fissata pel giorno 16 febbraio 1513, si sarebbe discusso e deliberato circa la prammatica sanzione in conformità delle leggi canoniche. Un’apposita commissione doveva disporre il necessario. Quindi fu letta una bolla, che confermava i decreti anteriori del papa relativi alla prammatica, alla nullità degli atti del concilio di Pisa e alla riforma degl’impiegati di curia. Il discorso che tenne in questa sessione — l’ultima cui assistette Giulio II — il notaro apostolico Cristoforo Marcello da Venezia fu un elogio entusiastico del papa. « Giulio — disse l’oratore — in una guerra più che giusta contro nemici prepotenti ha soppor-tato impavidamente e per così dire tolto volontariamente sopra di sè i più bollenti calori, i freddi più intensi, notti insonni, malattie, tutti i possibili disagi, correndo persino pericolo di vita, ha raccolto con generoso sacrificio dei suoi tesori un grande esercito, ha liberato Bologna, cacciato i nemici (Francesi) dai confini d’Italia, ha assoggettato Reggio, Parma e Piacenza, ha riscosso il plauso d’Italia e guadagnato per sè un nome immortale. Ancor maggior sarà la sua gloria per le opere di pace, soprattutto per la riforma e la glorificazione della Chiesa ora minacciata da tanti vizi, da traditori come da nemici esterni, colei che ha nutrito dei figliuoli j quali l’hanno vilipesa, colei che dovette intonare tanti canti di dolore, ma che ora attende soccorso dal suo sposo. Il papa deve ora 1 Hergenrother Vili. 52S. 2 Ofr. il nostro voi. II, 103 s.