«2 Col farsi innanzi di tendenze pagane si connette strettamente lo sviluppo fino al diabolico della bramosia di gloria. Una tendenza quasi pagana verso l’immortalità del nome si vede già in forte dose nel Petrarca: presso di lui incontrasi già anche quella idea di un al di là glorioso per gli uomini grandi, di un cielo pagano, che è improntato a Cicerone e al Fedone di Platone. Ma presso il Petrarca e in genere presso gli umanisti cristiani si scorge pure chiaramente la lotta che doveva legarsi tra l’aspirazione incondizionata alla gloria e le esigenze dell’umiltà cristiana,1 di cui non si fa più parola presso i rappresentanti d’una concezione unilaterale e perciò falsa dell’anticbità, che mirava a un totale rinnovamento della medesima in contrapposto col mondo ideale rigidamente cristiano del Medio Evo. I concetti di virtù e di gloria diventano per essi identici, la parola virtù perde il suo significato cristiano; chi ha conseguito il serto della gloria, quegli solo è considerato uomo virtuoso, qualunque siano i mezzi di cui s’è servito. Là dove in tal guisa l'ideale della gloria oscurava gli ideali della vita cristiana, al posto del cielo cristiano guadagnato mediante l'abnegazione e la fede subentrava il cielo pagano, a favore del quale si trovavano anche altre testimonianze degli antichi. Ancora in Dante i più grandi e virtuosi uomini del paganesimo non vanno oltre il limbo, ora invece troviamo trasportati nel cielo con ìa massima disinvoltura i celebri patriotti dell’antichità. Nel poema di Bernardo Pulci in morte di Cosimo il Vecchio quest’ultimo viene ricevuto in cielo da Cicerone, che pure fu detto padre della patria, dai Fabii, da Curzio, Fabrizio ed altri molti; «insieme ad essi», prosegue a dire il poeta, «egli sarà certo un lustro di quel coro, dove non cantiino se non anime senza pecche».3 La gloria moderna si manifesta nel culto degli uomini celebri, delle case ove nacquero e dei loro sepolcri, e in copiose produzioni della letteratura umanistica. Gli umanisti scrissero di preferenza opere di compilazione « intorno ad uomini celebri e donne famose ». Essi hanno il più saldo convincimento di essere i dispensatori della gloria, an;j; della stessa immortalità. * L’avidità della propria gloria voluta ad ogni costo, la smisurata ambizione, che ha sete di grandezza senza badare all’oggetto e alle conseguenze, viene espressa nel modo più aperto nel celebre proemio del Machiavelli alla sua storia fiorentina, dove egli biasima i suoi predecessori del loro troppo riguardoso silenzio sul conto delle fazioni cittadine. « Se ne ingannarono, dic’egli, e mostrarono di conoscere poco 1 t'fr. il iinstrn voi. I. )i. ."i s. (»ni. 1931) e IìI'Rokharot, Cultur lla. 317, 3i‘>l - Ufr. E. W. Maykr, Mach lancili» Qeéchichtaaujjassung unii min Hepriff virtù. 8tini ira zìi oriner llittorik, Mftnchen 11. Berlin 1012. » BvRCKu.vRi/r, cultur li», 317-318. Ofr. Rossi, Quattrocento Ss. * BuRcKiiARirr, Cultur I», 173 s. Lazzari 1 s. Rossi, Quattrocento 34 s.