934 Libro III. Giulio II. 1503-1513. Capitolo 9. alcuni pestacotori e garzoni : non aveva un amico cui potere aprire il suo cuore, e non ne voleva; a bella posta scansava gli uomini, sprofondando intieramente la sua grande anima nel lavoro e gustando tutti i dolori e le gioie dell’artista che crea. ,Già alla fine del 1509 era compiuta la prima parte delle pitture del soffitto e il papa potè vederla.1 Ora Michelangelo passò subito alla seconda parte, dalla creazione d’Eva fino alla parete dell’altare. Per quanto il maestro dipingesse con molta celerità, nondimeno per l’impaziente pontefice il lavoro non andava avanti abbastanza presto. Giulio stesso andava sull’impalcatura, salendo per scale a piuoli, e Michelangelo gli doveva porgere la mano perchè arrivasse alla sommità e qui a stuzzicare l’artista con domande se presto finirebbe l’opera. In Roma corsero presto le più strane voci circa ,le aspre parole, che si sarebbero scambiate quelle due teste calde. Ma ad ogni diverbio seguiva tosto la pace e il veemente artista sen-tivasi sempre di nuovo attratto da forza inesplicabile verso il pontefice per genio a lui così affine, il quale, come attesta il Condivi, amava sinceramente Michelangelo e prendevasi più pensiero di lui di qualsiasi altro dei suoi numerosi famigliari.2 Però Giulio II non era soltanto mecenate degli artisti, ma anche capo dello Stato pontificio e della Chiesa. Sopraggiunsero i tempi difficili, .in cui la tremenda lotta per l’indipendenza del papato e la liberazione dell’Italia dai Francesi assorbirono tutte le energie del grande vegliardo. Giulio II aveva lasciato Roma fin dal 17 agosto (1510; il 1° settembre S’incamminò per Bologna, dove venne a trovarsi in grandissime angustie.3 La partenza del papa era avvenuta precisamente allorquando la volta di mezzo si avvicinava al suo compimento.4 Un tempo relativamente molto breve era bastato a Michelangelo per venire a capo dell’opera gigantesca, una creazione meravigliosa, quasi sovrumana, che fu possibile solo per l’impiego completo di tutte le forze. Già di per sè era assai molesto e spossante per Michelangelo quel dover giacere tutto il giorno .supino, mentre i colori gli gocciolavano sul viso. Racconta il Vasari che gli occhi dell’artista si erano tanto abituati a guardare all’insù, che buon tratto dopo gli conveniva tenere in alto lo scritto per leggerlo col capo piegato all’indietro. In un sonetto de- 1 V. Thode IV, 238. 2 Ofr. Condivi 48. 50 e inoltre Frey loc. cit. 99 e Steinmann in Allg. Zcitung 1S97, BeH. nr. 148 II. 179. 3 l’fr. sopru p. 7(50 ss., 765 ss. * V. la lettera del principio d'agosto del 1510 presso Steinmann II. 716; cfr. Mackowsky2 99, 104.