Giudizio finale su Giulio II. ripesco sull’ecclesiastico, quando questioni puramente ecclesiastiche venivano trattate con criterii unicamente politici, i papi dovevano per necessità cercare una difesa al loro potere spirituale scosso in tanti modi nel consolidamento del loro dominio temporale. Essi pensavano ed agivano da veri uomini politici nel senso di quell’oratore, che al concilio di Basilea ebbe a fare questa notevole confessione: «Io fui spesso dell’opinione di coloro, i quali ritengono utile che la signoria temporale venga separata dalla Chiesa ; credevo cioè che i sacerdoti del Signore sarebbero allora più atti aila celebrazione dei divini misteri e i principi secolari sarebbero più obbedienti verso il clero. Ma adesso io ho appreso che la virtù senza potere è una cosa ridicola, e che il pontefice romano senza il patrimonio della Chiesa non figura che come un servo di re e di principi».1 Una tale condizione appariva intollerabile per un Giulio II. Profondamente compreso della necessità che il papa governi da libero e assoluto signore nel proprio dominio e territorio e diriga con piena indipendenza la Chiesa universale, egli spiegò tutta la sua forza onde por fine allo smembramento del dominio temporale della Santa Sede e stornare dalla Chiesa il tremendo pericolo di ricadere un’altra volta sotto il servaggio di un re francese.2 Grazie alla sua ferrea volontà, alla sua salda risolutezza egli riuscì nella cosa principale. Sebbene non fosse ancora ottenuta la libertà d’Italia, pure era stata rimossa l’opprimente signoria dei Francesi e salvata l’unità e l’indipendenza della Chiesa, restaurato e ingrandito lo stato ecclesiastico, che Giulio II aveva preso in cura in una quasi completa dissoluzione. «Terre magnifiche, il cuore d’Italia, costituivano la monarchia di S. Pietro». Il papato era divenuto «il centro di gravità d’Italia; più ancora, del mondo politico».3 Quasi per un segno esterno della restaurazione dello Stato pontificio e della conquistata potenza mondiale Giulio II nel 1509-1510 fece lavorare dal famoso orefice milanese Caradosso una tiara di una magnificenza non mai vista, la cui forma si discostava molto dalla comune per mettere meglio in evidenza il valore della grande quantità di gioie e di perle. Egli portò questo lavoro artistico, che costò l’enorme somma di 50.000 ducati, la prima volta nella festa della natività di Maria del 1510 al pontificale nel duomo di Loreto, 1 Dittrich, Contarini 151 s., 298. Db Leva I, 303 s. ¡Cfr. Ardi. st. ital. 4 serie V, 90. 2 Hòfi-f.r, Roman, Welt 256, fa giustamente rilevar questo come il massimo pericolo. s Greco bovi us Vili3 105. Cfr. in proposito i giudizi di Egidio da Viterbo ed. Hofler. 387 e Jovius, Vita Leonis X. lib. Ili, 55 le Vita 'Pomp. Col. p. 144.