Il flagello della peste. 5 all'ultimo sangue. La fine fu costituita dalla rovina di un sistema politico nazionale italiano e dall’assoluta preponderanza della Spagna. Alle guerre vennero ad aggiungersi avvenimenti e fenomeni naturali, che apportarono agli uomini miseria, pericoli e sterminio. Le cronache del secolo XV, specialmente della sua. seconda metà, sono zeppe di relazioni di straordinarii fenomeni celesti e d’intemperie, di scarsi raccolti, di carestie, d’inondazioni, di terremoti e pestilenze.1 Lo malattie contagiose si comprendevano allora come anche più tardi sotto il nome generico di peste, mentre il popolo le ¡chiamava semplicemente: la moria. La miseria, conseguenza delle incessanti guerre, e l’angusta coabitazione in luoghi fortificati, massimamente nel caso degli as-sedii spesso tirati in lungo, crearono delle condizioni sanitarie assai miserande. A ciò si aggiungeva la mancanza di pulizia, non che il sudiciume ed il cattivo nutrimento delle classi povere del popolo. Oltre a questo il commercio poco sorvegliato col Levante costituiva una fonte perenne d’importazione di malattie infettive, le quali perciò in realtà quasi mai si spensero in Italia, che anzi vi si protrassero quasi stabilmente.2 Certo in nessun periodo della storia italiana il popolo venne ■ così di frequente tribolato dalle epidemie quanto nell’aureo periodo cotanto celebrato del rinascimento. Il corteo terribile nella sua severità grave del carro della morte, messo in iscena da un artista di quel tempo, Piero di Cosimo,3 era preso dal vero. Come una vampa, che ora seguiti ad ardere in segreto, ed ora nuovamente si levi in alto, questa calamità si protrae per tutto il secolo XV penetrando anche nel seguente. E non furono soltanto le grandi città che ebbero a gemere sotto questo flagello di Dio: anche luoghi più piccoli e in sana postura, come Orvieto, furono ripetute volte convertiti in cimiteri ammorbanti l’aria. * Appena la terribile ma'attia si manifestava in un luogo, la fuga diven- 1 SoiiNTKttKR II, 7 s. volle dare una cronaca nou solo «lolle pesti, ma an->'he delle altre calamità, ma il suo lavoro riuscì oltremodo incompleto; così per 1 ^ '‘«li non fa punto menzione della grande carestia del 14ÌW (cfr. Matakazzo *'•' s.). Massari 43 s.. Coppi 47 s., Vita italiana I, 115 ss., Haeseb III, 185 s. si occupano soltanto delle malattie epidemiche. (Senza confronto più ricca e Che nella sua est>osizione tiene conto anche delle carestie e dei fenomeni meteoro-¡"«¡ci, è la grande opera del Corradi. Annali delle epidemie occorse in Italia dalle vinte memorie fino all’anno 1850, 8 voli. Bologna 1865-1894: cfr. Archivio stor.