464 Libro IH. Clemente VII. 1523-1534. Capitolo 11. decantare il suo zelo, comportossi col papa colla più impertinente arroganza, ma neanche così riuscì ad ottenere che venissero pienamente accordate le pretese inglesi.1 Il papa e i cardinali stavano sull’avviso di fronte all’insistenza degli oratori e mantennero grande calma e padronanza di sè. A dispetto dell’impudenza delle domande di Gardiner Clemente VII non si lasciò neanche per un momento sfuggire alcuna espressione veemente ed egli come i cardinali rimase fermo nel rifiutare ciò che non potevasi nè era lecito concedere.2 Neanche l’intervento di Francesco I, che con una lettera speciale entrò in campo a favore della causa di Enrico Vili, fece vacillare il papa. È del tutto ingiustificata l’accusa sollevata contro Clemente VII allora da parte inglese3 ed anche da storici recenti,J che in tutto il negozio egli si sia lasciato guidare esclusivamente da considerazioni politiche e che la paura dell’imperatore sia stata il vero motivo della sua opposizione alle pretese inglesi. La paura dell’imperatore era una parola grossa frequentemente usata, di cui si servì più di una volta lo stesso Clemente VII a scusare la mancanza di condiscendenza alle richieste degli inglesi, ma nella risoluzione allora presa non questa paura, ma quella che decise fu la coscienza del dovere di capo della Chiesa. Ciò, di che alla fine Gardiner dovette accontentarsi, fu la bolla di commissione del 13 aprile e relativamente 8 giugno 1528, che, per lasciare aperto l’adito a 1 Le relazioni di Gardiner e Fox presso Pocook I, 95-140. Una chiara esposizione delle trattative, diretta dal Cardinal Pucci allo stesso Clemente VII e scrìtta con piena cognizione delle cose, è presso Ehses. Dokumcnte 22-27 : cfr. Ehses in Hist. Jahrb. 1888, 217 ss. Vedi anche Gairdner in Engl. Hix! Review 1896, 096 ss. 2 Gairdner loc. cit. 696: papa e cardinali erano decisi «a non fare tali concessioni che permettessero compiersi un'ingiustizia fatta colla sanzione della Sunta Sede ». s Cfr. Ehses in Hist. Jahrb. 1888, 241 s., 641 ss. * Bttsch in Hist. Taschcnb. 1889, specialmente 307. Contro di lui Ehsk* in Histor. Jahrb. 1892, 470 ss. Brosch, che 221 s. sostiene lo stesso punto di vista, ammette almeno (222) che « se la condotta del papa fu deplorevole, gli serve almeno di scusa la sua condizione precaria e lo spavento ond’era preso dopo il Sacco di Roma. Al contrario quando Wolsey lavorando con tutte I ' forze per ottenere il divorzio protestava in un fiato la santità del vincolo matrimoniale, si trattava di mera ipocrisia e di cosa non scusabile » — « Anche se non aveva nulla da aspettare, nulla da temere da Carlo V », dice Ehses (loc. cit. 1888, 242) « non doveva Clemente in una faccenda, che interessava in si alto grado il suo onore, evitare ogni apparenza di parzialità? Pur nel caso che fosse stato possibile secondo diritto e giustizia sciogliere il matrimonio di Enrico colla zia dell'imperatore, ciò doveva avvenire in maniera ammessa secondo il più rigoroso giure e tradizione »... Enrico « non poteva chiedere, che di tutti i riguardi che pretendeva per sè Clemente VII non ne facesse valere alcuno verso l'imperatore ». — Anche Gairdner (EugU Hist■ Revieu. 1896, 699 s.) respinge l'accusa contro Clemente VII, che nelle loro decisioni riflettenti il negozio matrimoniale inglese egli e i suoi consiglieri si siano lasciati determinare dalla paura.