252 Libro III. Clemente VII. 1523-1534. Capitolo 3. un tale panico da sembrare che il nemico fosse già dentro le mura.1 Migliaia cercarono di allogare i loro averi in sicuri nascondigli ; molti ad onta del divieto presero la fuga.2 Frattanto l’esercito imperiale girando attorno la Città Leonina era venuto sino al Monte Gianicolo. Il grosso delle truppe accampava nelle vigne dietro la chiesa di S. Pietro.3 Nel chiostro di S. Onofrio, quartiere generale del Bourbon, il consiglio di guerra deliberò di assaltare senza ulteriore preparazione la Città Leonina nell’alba del giorno seguente. La condizione dell’esercito era disperata; privo del più necessario, in una campagna brulla, sterile, minacciato alle spalle da un esercito, aveva davanti agli occhi una sola possibilità di salvezza: l’assalto su Roma, le cui mura, come si sapeva, non erano munite che da pochi abili soldati.4 O vincere o morire, era la parola d’ordine del Bourbon.5 Con sguardi bramosi i mercenarii avidi del bottino misuravano il premio della vittoria che finalmente giaceva loro davanti, la meta d: tanti inauditi stenti. Il sole tramontante illuminava per l’ultima volta tutta la magnificenza della Roma del rinascimento, della più bella e più ricca di tutte le città del mondo d’allora. 1 Vedi la ** relazione di G. de’ Medici del 4 maggio 1527 nell’ Archivio di Stato in Firenze. Cfr. l’autobiografia di Raffaeli/) da Montelctpo 427. 2 ofr. Leti. d. prime. I, 110 e Santjto XLV, 73, 131. Vedi anche Arali, star, ltal. 5“ serie XIV, 57. 3 Vedi la relazione del Lannoy presso Lanz I, 705. * « Hessendo noi fonduti in loco angusto e carestioso et avendo dinanzi un Tevere et una Roma », scrive Sigismondo dalia Torre, « et intendendo che drieto ne cavalchava un grosso exercito, si pensò esser necessario tentar la fortuna, al che ci faceva più arditi il saiper che in Roma non etra gran 'provisione di buona gente pagata». Sanuto XLV, 232. a C'ir. Guicciardini XVIII, 3.