Gian Pietro Carata. 557 Ss. Pietro e Paolo (28 giugno 1476), egli, che discendeva da una delle più antiche, nobili e attive famiglie del regno di Napoli, a soli 12 anni aveva voluto entrare nell’Ordine domenicano venendone impedito dal padre Gian Antonio, barone di S. Angelo della Scala e anche, per mezzo della moglie Vittoria Camponesca,1 conte di Montorio. Maria, sorella di Gian Pietro e di 8 anni più vecchia di lui, sentiva la stessa vocazione al chiostro: nel Natale del 1490 fuggirono ambedue dalla casa avita, andando il fratello dai Domenicani, la sorella dalle Domenicane. Ma ancora una volta il padre strappò il figlio al chiostro dando invece il suo consenso per lo studio della teologia perchè il giovane pareva sicuro di una splendida carriera essendo nipote d’un arcivescovo e cardinale. Compiti gli studii, Gian Pietro ricevette la tonsura nel 1494, recandosi poi secondo il desiderio del padre a Roma presso lo zio cardinale Oliviero Carafa. Questi voleva subito conferito un vescovado al diciottenne nepote, ma il coscienzioso giovane rifiutò. Anche più tardi, essendo cameriere pontifìcio (dal 1500), egli accettò solo quei benefìzi che non obbligavano la residenza. Visse alla corte di Alessandro VI puro e intemerato, dedito unicamente allo studio, alla preghiera e alle opere di carità del prossimo. Giulio II, che vedeva acutamente, riconobbe tosto il valore di quest’uomo e fin dal 1503 lo nominava protonotario apostolico, nel 1504 vescovo di Chieti negli Abruzzi, dignità che il Carafa assunse di mala voglia. Questo e l’opposizione fatta dal governo spagnolo al neoeletto siccome rampollo d’una famiglia sempre nemica, spiegano perchè la consacrazione del Carafa avvenisse soltanto nel 1506. Immediatamente dopo Giulio II lo mandò nunzio a Napoli per salutare Ferdinando il cattolico che veniva da Barcellona. Anche in quest’occasione Carafa dovette esperimentare la durezza degli Spagnoli : Ferdinando rifiutò tondo tondo il pagamento di un tributo annuo chiesto dal nunzio in nome del papa per l’investitura di Napoli. Carafa fu lieto quando nel giugno 1507 ebbe fine la -sua missione: si recò subito nel suo vescovado di Chieti, dove trovò uno stato di cose molto cattivo. Da vero riformatore Carafa cercò d’introdurre un miglioramento mediante il proprio esempio e la trasformazione dei proprii 4961, 5370; Archivio segreto pontificio XI 101: British Museum 20011-20012. Io stesso ne posseggo una copia antica. Tre codici della Vita, tra i quali uno, che è probabilmente l’autografo del Caracciolo, trovansi nella Biblioteca del Museo nazionale alla Certosa di |S. Martino in Napoli). Questa oltremodo ricca Vita si fonda in parte sulle carte originaU del Carafa, delle quali ultime sono riuscito a ritrovare due volumi originali, che spesso completano il Caracciolo: in primo luogo la ‘collezione epistolare In Cod. Barò. Lat. 5697 della Biblioteca Vaticana, poi l’altra in Cod. XIII AA. 74 della Biblioteca nazionale di Parigi. 1 Su di essa cfr. Passa in Rassegna Abruzzese IV (1900). •