486 Libro III. Clemente VII. 1523-1534. Capitolo 12. lamenti sull’ingiustizia patita ed appelandosi alla capitolazione elettorale chiesero la repressione delle novità. Tutto fu vano. Federico I si pose apertamente dalla parte dei predicanti luterani e dichiarò che in tutto il regno aveva da predicare «chi aveva la grazia». Coperti dal re, i seguaci della nuova fede tolsero colla forza ai cattolici chiese e monasteri a Copenhagen e in altri luoghi.1 Il progresso del movimento luterano fu favorito inoltre dal tentativo di riconquistare il regno, che fece senza successo Cristiano II ritornato solo in apparenza alla Chiesa.2 Dopo la morte di Federico I (10 aprile 1533) la nobiltà ed i vescovi, rimandando la nuova elezione, crearono un interregno, in cui la maggioranza del consiglio del regno ancora cattolica cercò di rimettere la Chiesa nei suoi antichi diritti, ma poiché per l’alto clero era più questione di potenza e possesso dell’antica fede, i suoi passi fallirono del tutto. Sebbene il recesso della dieta del giugno 1533 offrisse una base giuridica, i vescovi non procedettero energicamente contro i predicanti e in conseguenza di questa trascuratezza l’agitazione luterana, se anche non del tutto apertamente, potè tuttavia continuare.3 Quasi contemporaneamente alla Danimarca fu staccata dall’antica Chiesa la Svezia. Qui pure la decisione partì dalla corona. Nell’introduzione della dottrina di Lutero, Gustavo Wasa riconobbe il mezzo più sicuro per infrangere il potere dei vescovi e migliorare coi beni ecclesiastici le sue scarse entrate.4 Non ostante che Clemente VII si addimostrasse molto conciliante e alla fine del 1525 permettesse che Giovanni Magno fino alla decisione dell’affare Trolle governasse l’arcivescovado di Upsala,5 il re sosteneva a tutta possa chiunque usciva in campo contro la dottrina cattolica e specialmente gli ecclesiastici, che infrangevano i loro voti, potevano essere sicuri della sua protezione. Nello stesso tempo egli, appellandosi alla «massima rivoluzionaria che la necessità vince la legge umana e divina » con un vero sistema di contribuzione tentò di distruggere la base materiale dell’antica Chiesa.6 Fu molto favo- 1 Ofr. Schäfer IV, 169 s. 2 Cfr. Laemmer, Mon, ratte. 35 ; Jiöiih. Quartalschr. XVII, 391 : RayNaLd 1530, n. 58 s. ; Schäfer IV, 172 s. : Martin 427 s. s Cfr. Schäfer IV, 212 s. e Schmitt in Hist. polii. Blätter CVI, 600 s. «Il re», sentenzia Weidling 156, « concluse l'alleanza colla riforma col l'intenzione di mettersi in tasca la somma ». « Coll'acutezza del realista il re riconobbe che una riforma nel senso di Lutero gli dava la possibilità di infrangere la potenza della gerarchia e di prendersene le ricchezze. Quanto bene Gustavo sapesse cogliere il suo proprio utile ci viene ottimamente dimostrato dal fatto che verso la fine del suo governo 12000 ex-beni di iGhiesa erano aggiunti al tesoro deUa corona ». Allgem. Zeitung 1893, Beil. 29. ° Cfr. Martin, rasa 300. « Vedi Weidling 150 s., 152 s., 162 s. Gemer II. 42 dice che nell’lntro-durre la nuova dottrina Gustavo Wasa procedette con una mescolanza per Ini caratteristica di furba cedevolezza e risoluta azione ; cfr. ibid. 45 s.